L’autore si chiede in che cosa consista la (supposta) nuova tipologia di affidamento, c.d. condiviso, introdotta dalla legge n. 54 del 2006, quali ne siano gli elementi caratteristici e per quali aspetti essa si differenzi dall’affidamento monogenitoriale, previsto come sussidiario. Si chiede altresì se la novella abbia inciso anche sull’affidamento esclusivo, mutando i connotati che lo caratterizzavano nel regime anteriore. Per tentare di fornire una risposta a questi interrogativi, l’autore indaga, più radicalmente, sulla stessa categoria dell’affidamento e sul suo contenuto, chiedendosi che cosa significhi «affidare» i minori a uno dei genitori. Rileva che, di primo acchito, si potrebbe essere portati a ritenere che l’affidamento consista nell’assegnazione del minore a un tetto, sotto il quale egli sia destinato a convivere con un soggetto deputato alla sua cura e custodia; in altre parole, si potrebbe immaginare intuitivamente che l’affidamento si caratterizzi per la coabitazione del minore con l’affidatario, nonché per l’attribuzione a quest’ultimo dell’esercizio della potestà (o quantomeno dell’esercizio di alcuni poteri inerenti alla medesima). Tuttavia si domanda, esaminando l’istituto alla luce del dato normativo, se la sua essenza sia effettivamente questa, cioè se esso sia davvero legato alla convivenza con la prole e all’esercizio della potestà. Nel procedere all’analisi dei rapporti dell’affidamento con la collocazione della prole da un lato e con l’esercizio della potestà dall’altro, l’autore prende le mosse dalla disciplina originaria del codice del 1942, ed esamina poi la l. n. 151 del 1975 di riforma del diritto di famiglia nonché la l. n. 74 del 1987 di riforma del divorzio. Da questo excursus emerge, a giudizio dell’autore, che i legami tra l’affidamento e l’esercizio della potestà sono sempre risultati quantomeno incerti, mentre la convivenza con la prole ha costituito un elemento essenziale dell’istituto in esame, la cui indispensabilità è stata messa in discussione soltanto da alcune interpretazioni dottrinali dell’affidamento congiunto e di quello alternato. Emerge altresì che la categoria giuridica dell’affidamento, oltre ad essere difficile da definire sotto il profilo dogmatico, risultava anche scarsamente utile sotto il profilo pratico, per cui si sarebbe potuto tranquillamente fare a meno di essa avvalendosi unicamente, sia nel discorso scientifico che nella prassi giudiziaria, degli istituti della collocazione della prole e dell’esercizio della potestà. Al termine di questo percorso l’autore si sofferma diffusamente sull’analisi dell’articolazione dei rapporti tra affidamento, collocazione della prole ed esercizio della potestà in seguito all’entrata in vigore della l. n. 54 del 2006; all’esito di tale analisi è indotto a concludere che, nell’attuale regime, l’affidamento sembra non essere legato imprescindibilmente né alla convivenza con la prole, né all’esercizio della potestà sulla medesima, e che pertanto esso finisce per risolversi in una categoria dai contorni indefiniti e dal contenuto evanescente, sostanzialmente priva di una autonoma rilevanza. Alla luce di questa conclusione, tenta di fornire una possibile interpretazione della nuova disposizione normativa che individua nell’«affidamento» a entrambi i genitori (c.d. condiviso) la soluzione prioritaria, attribuendo all’«affidamento» a un solo genitore (c.d. esclusivo) un ruolo soltanto residuale, e infine tenta di individuare la reale portata innovativa della recente legge di riforma.

L'affidamento della prole nella crisi coniugale prima e dopo la legge n. 54 del 2006

FEDE, Alessandro
2007

Abstract

L’autore si chiede in che cosa consista la (supposta) nuova tipologia di affidamento, c.d. condiviso, introdotta dalla legge n. 54 del 2006, quali ne siano gli elementi caratteristici e per quali aspetti essa si differenzi dall’affidamento monogenitoriale, previsto come sussidiario. Si chiede altresì se la novella abbia inciso anche sull’affidamento esclusivo, mutando i connotati che lo caratterizzavano nel regime anteriore. Per tentare di fornire una risposta a questi interrogativi, l’autore indaga, più radicalmente, sulla stessa categoria dell’affidamento e sul suo contenuto, chiedendosi che cosa significhi «affidare» i minori a uno dei genitori. Rileva che, di primo acchito, si potrebbe essere portati a ritenere che l’affidamento consista nell’assegnazione del minore a un tetto, sotto il quale egli sia destinato a convivere con un soggetto deputato alla sua cura e custodia; in altre parole, si potrebbe immaginare intuitivamente che l’affidamento si caratterizzi per la coabitazione del minore con l’affidatario, nonché per l’attribuzione a quest’ultimo dell’esercizio della potestà (o quantomeno dell’esercizio di alcuni poteri inerenti alla medesima). Tuttavia si domanda, esaminando l’istituto alla luce del dato normativo, se la sua essenza sia effettivamente questa, cioè se esso sia davvero legato alla convivenza con la prole e all’esercizio della potestà. Nel procedere all’analisi dei rapporti dell’affidamento con la collocazione della prole da un lato e con l’esercizio della potestà dall’altro, l’autore prende le mosse dalla disciplina originaria del codice del 1942, ed esamina poi la l. n. 151 del 1975 di riforma del diritto di famiglia nonché la l. n. 74 del 1987 di riforma del divorzio. Da questo excursus emerge, a giudizio dell’autore, che i legami tra l’affidamento e l’esercizio della potestà sono sempre risultati quantomeno incerti, mentre la convivenza con la prole ha costituito un elemento essenziale dell’istituto in esame, la cui indispensabilità è stata messa in discussione soltanto da alcune interpretazioni dottrinali dell’affidamento congiunto e di quello alternato. Emerge altresì che la categoria giuridica dell’affidamento, oltre ad essere difficile da definire sotto il profilo dogmatico, risultava anche scarsamente utile sotto il profilo pratico, per cui si sarebbe potuto tranquillamente fare a meno di essa avvalendosi unicamente, sia nel discorso scientifico che nella prassi giudiziaria, degli istituti della collocazione della prole e dell’esercizio della potestà. Al termine di questo percorso l’autore si sofferma diffusamente sull’analisi dell’articolazione dei rapporti tra affidamento, collocazione della prole ed esercizio della potestà in seguito all’entrata in vigore della l. n. 54 del 2006; all’esito di tale analisi è indotto a concludere che, nell’attuale regime, l’affidamento sembra non essere legato imprescindibilmente né alla convivenza con la prole, né all’esercizio della potestà sulla medesima, e che pertanto esso finisce per risolversi in una categoria dai contorni indefiniti e dal contenuto evanescente, sostanzialmente priva di una autonoma rilevanza. Alla luce di questa conclusione, tenta di fornire una possibile interpretazione della nuova disposizione normativa che individua nell’«affidamento» a entrambi i genitori (c.d. condiviso) la soluzione prioritaria, attribuendo all’«affidamento» a un solo genitore (c.d. esclusivo) un ruolo soltanto residuale, e infine tenta di individuare la reale portata innovativa della recente legge di riforma.
2007
Fede, Alessandro
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