Le informazioni “may contain” in etichetta sono sempre più frequenti, avvisando il consumatore della mera possibilità (senza nulla dire circa la probabilità) che all’interno dell’alimento vi siano tracce, significative o infinitesimali, di allergeni non impiegati nella produzione. Quella segnalata è una presenza soltanto eventuale, dovuta – nel caso – a c.d. “contaminazione incrociata”, che le norme sull’informazione al consumatore non obbligano affatto a comunicare: per questo motivo, se si ci si limita a considerare le disposizioni in materia di etichettatura, l’avvertenza è puramente volontaria mentre, d’altra parte, la nozione normativa di “alimento a rischio” esclude che la presenza di un allergene possa, di per sé sola, rendere tale un prodotto (salvo che esso sia espressamente destinato ai soggetti allergici proprio alla sostanza presente). Eppure il mercato (sia nel segmento consumer che in quello professionale), a torto o a ragione, sempre più spesso esige di vedere sulle etichette questo tipo di indicazioni. D’altra parte, il “comune sentire” avverte come poco accettabile (o, quanto meno, anomala) l’idea, suggerita dalle norme citate, che un operatore non si consideri tenuto a informare chi acquista, neppure in quei casi in cui la cross-contamination sia altamente probabile, o addirittura quasi certa, perché emerge dall’analisi dei pericoli aziendali connaturati al tipo di processo produttivo, o da caratteristiche intrinseche delle materie prime utilizzate, o dall’impossibilità tecnica di “isolare” completamente la produzione da possibili fonti di contaminazione. Questo saggio contiene, oltre ad un esame del problema, un tentativo di fornire una soluzione giuridicamente accettabile, che superi le lacune e le apparenti contraddizioni dell’attuale disciplina.

Allergeni, cross-contamination e trasmissione delle informazioni lungo la filiera: ancora un rebus

P. Borghi
2021

Abstract

Le informazioni “may contain” in etichetta sono sempre più frequenti, avvisando il consumatore della mera possibilità (senza nulla dire circa la probabilità) che all’interno dell’alimento vi siano tracce, significative o infinitesimali, di allergeni non impiegati nella produzione. Quella segnalata è una presenza soltanto eventuale, dovuta – nel caso – a c.d. “contaminazione incrociata”, che le norme sull’informazione al consumatore non obbligano affatto a comunicare: per questo motivo, se si ci si limita a considerare le disposizioni in materia di etichettatura, l’avvertenza è puramente volontaria mentre, d’altra parte, la nozione normativa di “alimento a rischio” esclude che la presenza di un allergene possa, di per sé sola, rendere tale un prodotto (salvo che esso sia espressamente destinato ai soggetti allergici proprio alla sostanza presente). Eppure il mercato (sia nel segmento consumer che in quello professionale), a torto o a ragione, sempre più spesso esige di vedere sulle etichette questo tipo di indicazioni. D’altra parte, il “comune sentire” avverte come poco accettabile (o, quanto meno, anomala) l’idea, suggerita dalle norme citate, che un operatore non si consideri tenuto a informare chi acquista, neppure in quei casi in cui la cross-contamination sia altamente probabile, o addirittura quasi certa, perché emerge dall’analisi dei pericoli aziendali connaturati al tipo di processo produttivo, o da caratteristiche intrinseche delle materie prime utilizzate, o dall’impossibilità tecnica di “isolare” completamente la produzione da possibili fonti di contaminazione. Questo saggio contiene, oltre ad un esame del problema, un tentativo di fornire una soluzione giuridicamente accettabile, che superi le lacune e le apparenti contraddizioni dell’attuale disciplina.
2021
Borghi, P.
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