Coerenza e dubbio. Sembra incredibile che si debba essere fedeli a due parole così apparentemente opposte. Ma non è un ossimoro. La separazione che si viene ad instaurare (nel lavoro, nel processo progettuale, nell’atto produttivo ed oggi anche informativo/comunicativo e soprattutto consumistico) costituisce una cesura tra chi fa e chi è responsabile e fino a quale punto. La “responsabilità dello scopo” (Umberto Galimberti) è persa, dimenticata. Appare dissolta in un’irresponsabilità di principio che estrania gli attori dalla percezione di un futuro (contesto, orizzonte, desiderio, aspettative) e rende la cinghia di trasmissione dell’apparato indeformabile, inossidabile).La coscienza omologata tutela la mediocrità, abbassa l’asticella e permette (apparentemente) a tutti di saltare nel guano del fare quotidiano. Un ambito escremenziale in cui il progetto non è un “luogo del pensiero” (individualmente cosciente e consapevole) quanto quello definito dalle procedure che lo attuano. Ecco quindi come le parole di Herman Hertzberger, in una densa intervista concessa a “Paesaggio Urbano” offrono una speranza. Un linguaggio fortificato dal dubbio che aiuta il consolidarsi di sani “isolotti di razionalità critica in un oceano dogmatico” (François Laplantine). Al centro del progetto torna l’esperienza umana con tutta la sua energia attiva. Lo spazio della coscienza non è la risultante di alcune coordinate cartesiane ma di altro, di molte altre straordinarie forze. Apro il mio editoriale con le parole di un poeta romagnolo e grande sceneggiatore (Fellini, Antonioni, Rosi, Tarkovskij, De Sica, Angelopoulos). Il suono del dialetto unifica più separare. E nell’aria, che è “quella roba leggera che ti gira intorno alla testa” si sente tutto il mondo più vicino, anche la nuova Istanbul. Le realtà non si assomigliano, ma gravitano sulle loro forti differenze. Ma l’esigenza di esprimere (e di raccontare) problematiche e contraddizioni aumenta.
L’aria dello spazio della coscienza
BALZANI, Marcello
2012
Abstract
Coerenza e dubbio. Sembra incredibile che si debba essere fedeli a due parole così apparentemente opposte. Ma non è un ossimoro. La separazione che si viene ad instaurare (nel lavoro, nel processo progettuale, nell’atto produttivo ed oggi anche informativo/comunicativo e soprattutto consumistico) costituisce una cesura tra chi fa e chi è responsabile e fino a quale punto. La “responsabilità dello scopo” (Umberto Galimberti) è persa, dimenticata. Appare dissolta in un’irresponsabilità di principio che estrania gli attori dalla percezione di un futuro (contesto, orizzonte, desiderio, aspettative) e rende la cinghia di trasmissione dell’apparato indeformabile, inossidabile).La coscienza omologata tutela la mediocrità, abbassa l’asticella e permette (apparentemente) a tutti di saltare nel guano del fare quotidiano. Un ambito escremenziale in cui il progetto non è un “luogo del pensiero” (individualmente cosciente e consapevole) quanto quello definito dalle procedure che lo attuano. Ecco quindi come le parole di Herman Hertzberger, in una densa intervista concessa a “Paesaggio Urbano” offrono una speranza. Un linguaggio fortificato dal dubbio che aiuta il consolidarsi di sani “isolotti di razionalità critica in un oceano dogmatico” (François Laplantine). Al centro del progetto torna l’esperienza umana con tutta la sua energia attiva. Lo spazio della coscienza non è la risultante di alcune coordinate cartesiane ma di altro, di molte altre straordinarie forze. Apro il mio editoriale con le parole di un poeta romagnolo e grande sceneggiatore (Fellini, Antonioni, Rosi, Tarkovskij, De Sica, Angelopoulos). Il suono del dialetto unifica più separare. E nell’aria, che è “quella roba leggera che ti gira intorno alla testa” si sente tutto il mondo più vicino, anche la nuova Istanbul. Le realtà non si assomigliano, ma gravitano sulle loro forti differenze. Ma l’esigenza di esprimere (e di raccontare) problematiche e contraddizioni aumenta.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.