Immaginario, arte e educazione

In a pedagogical landscape often dominated by technocratic paradigms, the volume *Immaginario, arte e educazione*, edited by Elianda Figueiredo Arantes Tiballi, stands out as a critical and necessary intervention. The work reasserts the centrality of the complex and intrinsic relationship among the three dimensions named in the title, presenting them not as mere complements but as an indispensable foundation for the cognitive, emotional, and social development of the individual. Through a diverse collection of theoretical and experiential contributions, the book articulates a powerful thesis: the imaginary, mediated through artistic expression, constitutes the very root of an authentically formative education—one capable of cultivating creativity, critical thinking, and a profound understanding of the world. The volume grounds its argument in the primacy of the child’s imaginary, defined by Anita Gramigna as the “cradle of education.” Through a subtle analysis of Walter Benjamin’s *Berlin Childhood*, Gramigna does not simply explore memory but reveals its intrinsically formative nature: for Benjamin, the past is the “past of the present,” and childhood memories, even the most solitary ones, possess a “social character.” The young Benjamin’s experience of “walking” and losing himself in the streets of Berlin serves as an archetype of experiential learning that reverberates throughout the volume. This perspective is enriched by Andrea Mattia Marcelli’s intercultural analysis of the children’s imaginary in the Azores, demonstrating how local stories and legends, when integrated into educational initiatives, are crucial for cultural continuity and for countering educational poverty. The work then proceeds to redefine the role of aesthetics in education—not as an object of study but as an embodied cultural practice. This argument unfolds through a coherent triptych of essays: Paola Bastianoni introduces the notion of “the beauty that heals,” framing it as an essential multisensory educational environment; Camilla Boschi analyzes Yoruba cornrows as an aesthetic practice that transmits identity, knowledge, and resistance; and finally, Julius Vann examines clowning as a powerful pedagogical resource. In the character of “NIQ,” a mailman who travels the world, one finds the echo of the phenomenological “journey,” linking artistic performance to an identity-based path of discovery. This experiential trajectory finds its epistemological foundation in Ronaldo Manzi’s contribution which, drawing on Merleau-Ponty’s thinking, uses the metaphor of “walking” to theorize an education rooted in experience and tradition. His “journey” is not an isolated concept but the keystone connecting Benjamin’s phenomenological introspection, Vann’s performance, and contemporary media applications. Photography, analyzed by Elianda Figueiredo Arantes Tiballi, becomes a tool for revealing the social imaginary, while the project by Dostoevskij Champangnatte and Daniele Ribeiro Fortuna on audiovisual art in schools extends this experiential pedagogy into new forms of expression. Completing the picture, Raquel Marra da Madeira Freitas’s analysis—drawing on Vygotsky and others—offers a solid theoretical overview of the relationship between culture, learning, and human development. Ultimately, *Immaginario, arte e educazione* transcends the simple format of a collected volume to offer a unified and compelling theoretical framework. The work convincingly demonstrates the existence of a cycle of mutual enrichment among imaginary, art, and education, orchestrated around the unifying theme of the “journey” as a formative experience. Its unique synthesis of phenomenology, embodied cultural practices, and media applications provides educators, researchers, and practitioners with a valuable resource—offering not merely a set of tools but a true paradigm for rethinking an education that is profoundly human, critical, and transformative.

In un panorama pedagogico spesso dominato da paradigmi tecnocratici, il volume Immaginario, arte e educazione, a cura di Elianda Figueiredo Arantes Tiballi, si configura come un intervento critico e necessario. L'opera riafferma la centralità della complessa e intrinseca relazione tra le tre dimensioni del titolo, proponendole non come semplici complementi, ma come fondamento irrinunciabile per lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale dell'individuo. Attraverso una raccolta plurale di contributi teorici ed esperienziali, il libro articola una tesi potente: l'immaginario, mediato dall'espressione artistica, costituisce la radice stessa di un'educazione autenticamente formativa, capace di coltivare la creatività, il pensiero critico e una profonda comprensione del mondo. Il volume àncora la sua argomentazione nel primato dell'immaginario infantile, definito da Anita Gramigna come la "culla dell'educazione". Attraverso una fine analisi dell'Infanzia berlinese di Walter Benjamin, Gramigna non si limita a esplorare il ricordo, ma ne svela la natura intrinsecamente formativa: per Benjamin, il passato è "passato del presente" e le memorie infantili, anche quelle più solitarie, possiedono un "carattere sociale". L'esperienza del "camminare" e dello smarrirsi del giovane Benjamin per le strade di Berlino funge da archetipo di un apprendimento esperienziale che risuona in tutto il volume. Questa prospettiva è arricchita dall'analisi interculturale di Andrea Mattia Marcelli, che studia l'immaginario infantile nelle Azzorre, dimostrando come racconti e leggende locali, integrati in iniziative pedagogiche, siano cruciali per la continuità culturale e per contrastare la povertà formativa. L'opera prosegue ridefinendo la funzione dell'estetica nell'educazione, non come oggetto di studio, ma come pratica culturale incarnata. Questa tesi si sviluppa attraverso un trittico di saggi coeso: Paola Bastianoni introduce il concetto de "la bellezza che cura", inquadrandola come un ambiente formativo multisensoriale essenziale; Camilla Boschi analizza le cornrows (treccine) Yoruba come pratica estetica che tramanda identità, conoscenza e resistenza; infine, Julius Vann esplora la clownerie come potente risorsa pedagogica. Nel personaggio del clown "NIQ", un postino che viaggia per il mondo, si ritrova l'eco del "cammino" fenomenologico, legando la performance artistica a un percorso identitario di scoperta. Questa traiettoria esperienziale trova il suo fondamento epistemologico nel contributo di Ronaldo Manzi, che, partendo dal pensiero di Merleau-Ponty, utilizza la metafora del "camminare" per teorizzare un'educazione radicata nell'esperienza e nella tradizione. Il suo "cammino" non è un concetto isolato, ma la chiave di volta che connette l'introspezione fenomenologica di Benjamin, la performance di Vann e le applicazioni mediali contemporanee. La fotografia, analizzata da Elianda Figueiredo Arantes Tiballi, diviene strumento per svelare l'immaginario sociale, mentre il progetto di Dostoevskij Champangnatte e Daniele Ribeiro Fortuna sull'arte audiovisiva a scuola estende questa pedagogia esperienziale ai nuovi linguaggi. A completare il quadro, l'analisi di Raquel Marra da Madeira Freitas, basata su Vygotskij e altri, offre una solida panoramica teorica sulla relazione tra cultura, apprendimento e sviluppo umano. In definitiva, Immaginario, arte e educazione trascende la semplice raccolta di saggi per offrire un quadro teorico unificato e potente. L'opera dimostra in modo convincente l'esistenza di un ciclo di arricchimento reciproco tra immaginario, arte ed educazione, orchestrato attorno al tema unificante del "cammino" come esperienza formativa. La sua sintesi unica tra fenomenologia, pratiche culturali incarnate e applicazioni mediali fornisce a educatori, ricercatori e professionisti una risorsa preziosa, proponendo non solo un insieme di strumenti, ma un vero e proprio paradigma per ripensare un'educazione che sia profondamente umana, critica e trasformativa.