La proposta d’intervento, collocata all’intersezione tra cultura visuale, fenomenologia della percezione, media studies e ricerca artistica contemporanea, intende articolare una riflessione sul concetto di ‘limite’ che la zona interstiziale dello schermo, inteso come superficie e riquadro, incarna/materializza. Limite ontologico, semiotico, epistemologico dell’immagine, lo schermo stabilisce una separazione, altresì una forma di comunicazione, tra lo spazio reale e la vista interna al suo perimetro. Per la lunga tenuta della modalità di visualizzazione che istituisce (dalla finestra albertiana ai display attuali), lo schermo assurge a dispositivo percettivo privilegiato attraverso cui oggi pensiamo l’essere del medium e dell’immagine (Dalmasso 2014) e a produttore di determinati stili di visione quando non di un vero e proprio regime scopico (occidentale) (Capucci 2017; Pinotti 2016 e 2021) al punto da essere stato definito il dispositivo ottico e concettuale di riferimento della nostra epoca (Carbone 2014). Vi sono tuttavia immagini, dalla pittura in trompe l’oeil agli ambienti immersivi virtuali, che attraverso espedienti della figurazione e tecnologie di image making si caratterizzano per voler negare il proprio statuto iconico, contrassegnato dallo schermo per l’appunto, nella sua genealogia di schermo classico, (il quadro), dinamico (il cinema), in tempo in reale (le videocamere di sorveglianza), interattivo (il computer, tablet e smartphone), fino al suo superamento ad opera della realtà virtuale (Manovich 2002). Trattasi della sua scomparsa o della sua negazione? La finzione iconica è sempre coessenziale alla presenza dello schermo? Una permeabilizzazione della soglia dell’immagine è plausibile? Adottando un approccio che affronta la questione dello schermo al di là delle distinzioni mediali per concentrarsi sulla visualizzazione che si dà per l’intervento di un qualunque tipo di schermo, e sulla scorta dell’idea di una storicità della visione intesa a partire da Walter Benjamin (1936) e Marshall McLuhan (1964) come storicità dei dispositivi ottici quali promotori di determinati paradigmi della visione, nonché degli apparati tecnologici in generale come artefici di una estensione/culturalizzazione dei sensi, mi soffermerò su alcuni progetti artistici di telepresenza orientando la riflessione tra il mantenimento o la perdita del framing; la natura “calda” ed esclusiva o “fredda” e inclusiva dei media (McLuhan 1964); la visione e la tecnologia aptica (Marks 2016); la garanzia o l’interruzione dello “spettacolo” in funzione della presenza, o meno, dello schermo (Merleau-Ponty 1945); l’immagine in tempo reale quale segno o rappresentante (Manovich 2002; Rozzoni 2014). In conclusione, si avanzerà l’ipotesi che la telepresenza possa, per il suo porsi esternamente alle assunte logiche della finzione iconica, instaurare una intercorporeità di superficie tra la “vita” interna allo schermo e la realtà fenomenica.

Dell'immagine e della sua superficie: una riflessione sulla soglia tattile della vista/vita interna allo schermo (in tempo reale)

Tatiana Basso
2025

Abstract

La proposta d’intervento, collocata all’intersezione tra cultura visuale, fenomenologia della percezione, media studies e ricerca artistica contemporanea, intende articolare una riflessione sul concetto di ‘limite’ che la zona interstiziale dello schermo, inteso come superficie e riquadro, incarna/materializza. Limite ontologico, semiotico, epistemologico dell’immagine, lo schermo stabilisce una separazione, altresì una forma di comunicazione, tra lo spazio reale e la vista interna al suo perimetro. Per la lunga tenuta della modalità di visualizzazione che istituisce (dalla finestra albertiana ai display attuali), lo schermo assurge a dispositivo percettivo privilegiato attraverso cui oggi pensiamo l’essere del medium e dell’immagine (Dalmasso 2014) e a produttore di determinati stili di visione quando non di un vero e proprio regime scopico (occidentale) (Capucci 2017; Pinotti 2016 e 2021) al punto da essere stato definito il dispositivo ottico e concettuale di riferimento della nostra epoca (Carbone 2014). Vi sono tuttavia immagini, dalla pittura in trompe l’oeil agli ambienti immersivi virtuali, che attraverso espedienti della figurazione e tecnologie di image making si caratterizzano per voler negare il proprio statuto iconico, contrassegnato dallo schermo per l’appunto, nella sua genealogia di schermo classico, (il quadro), dinamico (il cinema), in tempo in reale (le videocamere di sorveglianza), interattivo (il computer, tablet e smartphone), fino al suo superamento ad opera della realtà virtuale (Manovich 2002). Trattasi della sua scomparsa o della sua negazione? La finzione iconica è sempre coessenziale alla presenza dello schermo? Una permeabilizzazione della soglia dell’immagine è plausibile? Adottando un approccio che affronta la questione dello schermo al di là delle distinzioni mediali per concentrarsi sulla visualizzazione che si dà per l’intervento di un qualunque tipo di schermo, e sulla scorta dell’idea di una storicità della visione intesa a partire da Walter Benjamin (1936) e Marshall McLuhan (1964) come storicità dei dispositivi ottici quali promotori di determinati paradigmi della visione, nonché degli apparati tecnologici in generale come artefici di una estensione/culturalizzazione dei sensi, mi soffermerò su alcuni progetti artistici di telepresenza orientando la riflessione tra il mantenimento o la perdita del framing; la natura “calda” ed esclusiva o “fredda” e inclusiva dei media (McLuhan 1964); la visione e la tecnologia aptica (Marks 2016); la garanzia o l’interruzione dello “spettacolo” in funzione della presenza, o meno, dello schermo (Merleau-Ponty 1945); l’immagine in tempo reale quale segno o rappresentante (Manovich 2002; Rozzoni 2014). In conclusione, si avanzerà l’ipotesi che la telepresenza possa, per il suo porsi esternamente alle assunte logiche della finzione iconica, instaurare una intercorporeità di superficie tra la “vita” interna allo schermo e la realtà fenomenica.
2025
9788882415648
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