Nel 2010 il critico e storico della letteratura Vincent Debaene ha pubblicato per Gallimard un illuminante testo dal titolo, L’adieu au voyage. La scelta del titolo non è casuale, poiché richiama l’ultima frase di Tristes tropiques. L’interpretazione che lo studioso, tra i pochi ricercatori che hanno indagato il rapporto tra antropologia e lette- ratura, dà alle parole dell’illustre collega e antropologo francese è decisamente innovativa al fine di indagare l’oggetto al centro della prima di questo volume. Per Debaene, l’adieu au voyage è il saluto finale che Lévi-Strauss dà a una concezione idealizzata del concetto di «differenze culturali» che ha segnato l’antropologia nella sua fase «classica» (Clifford 1993) – ovvero, quella che vedrà la disciplina im- porsi come scienza sociale anche attraverso la scrittura etnografica della monografia accademica: «l’addio al viaggio non indica alcuna conclusione, o disincanto, ma la riconfigurazione di una relazione, un duplice processo di oggettivazione e soggettivazione» (Debaene2014, Prefazione all’edizione inglese1). Per Debaene, Tristes tropi- ques non costituisce infatti un’opera unica, che si smarca dalle altre pubblicazioni antropologiche del tempo, ma piuttosto esemplifica al meglio una direzione e una pratica di scrittura che ha caratterizzato parte della scrittura etnografica del Novecento: come Lévi-Strauss, infatti – e questa è la tesi al centro dell’opera di Debaene – altri suoi colleghi, in una determinata fase della loro carriera, sono tornati sul loro campo di ricerca per produrre, dopo aver per lo più pubblicato la «classica» monografia accademica, un «secondo libro», decisamen- te più «letterario», «o almeno più libero nella forma e destinato a un pubblico più vasto rispetto alle pubblicazioni specializzate» (Ibid.). Tristes Tropiques (1955), di conseguenza, andrebbe letto nello stesso modo in cui noi lettori dovremmo studiare altre opere quali l’Afrique fantôme di Michel Leiris (1934), Les Flambeurs d’hommes di Marcel Griaule (1934), L’Ile de Pâques di Alfred Métraux (1941), «e molti altri esempi sarebbero possibili» (ibid.).
Tra antropologia e letteratura
giuseppe scandurra
2025
Abstract
Nel 2010 il critico e storico della letteratura Vincent Debaene ha pubblicato per Gallimard un illuminante testo dal titolo, L’adieu au voyage. La scelta del titolo non è casuale, poiché richiama l’ultima frase di Tristes tropiques. L’interpretazione che lo studioso, tra i pochi ricercatori che hanno indagato il rapporto tra antropologia e lette- ratura, dà alle parole dell’illustre collega e antropologo francese è decisamente innovativa al fine di indagare l’oggetto al centro della prima di questo volume. Per Debaene, l’adieu au voyage è il saluto finale che Lévi-Strauss dà a una concezione idealizzata del concetto di «differenze culturali» che ha segnato l’antropologia nella sua fase «classica» (Clifford 1993) – ovvero, quella che vedrà la disciplina im- porsi come scienza sociale anche attraverso la scrittura etnografica della monografia accademica: «l’addio al viaggio non indica alcuna conclusione, o disincanto, ma la riconfigurazione di una relazione, un duplice processo di oggettivazione e soggettivazione» (Debaene2014, Prefazione all’edizione inglese1). Per Debaene, Tristes tropi- ques non costituisce infatti un’opera unica, che si smarca dalle altre pubblicazioni antropologiche del tempo, ma piuttosto esemplifica al meglio una direzione e una pratica di scrittura che ha caratterizzato parte della scrittura etnografica del Novecento: come Lévi-Strauss, infatti – e questa è la tesi al centro dell’opera di Debaene – altri suoi colleghi, in una determinata fase della loro carriera, sono tornati sul loro campo di ricerca per produrre, dopo aver per lo più pubblicato la «classica» monografia accademica, un «secondo libro», decisamen- te più «letterario», «o almeno più libero nella forma e destinato a un pubblico più vasto rispetto alle pubblicazioni specializzate» (Ibid.). Tristes Tropiques (1955), di conseguenza, andrebbe letto nello stesso modo in cui noi lettori dovremmo studiare altre opere quali l’Afrique fantôme di Michel Leiris (1934), Les Flambeurs d’hommes di Marcel Griaule (1934), L’Ile de Pâques di Alfred Métraux (1941), «e molti altri esempi sarebbero possibili» (ibid.).| File | Dimensione | Formato | |
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