Presupposto di questo nostro volume è dunque che ci sia un rapporto privilegiato tra l’etnografia, intesa come metodo e scrittura antropologica e altri generi di scrittura più narrativi (Capello 2020), se non, addirittura, una nascita in comune. Oggi, soprattutto alla luce di questo nuovo modo di rileggere i «classici» in antropologia, siamo legittimati a riscoprire scritture che per un lungo tempo, nel corso del Novecento, sono state allontanate dalla disciplina accademica in virtù del loro essere non «clas- siche». Obiettivo generale di questo nostro libro è proprio quello di indagare queste «altre forme di scrittura», partendo dal presupposto che le liste di testi considerati classici pongono problemi non tanto per i libri che includono – che non possono che essere buoni –, quanto, come scrive Rosaldo, «per quelli che escludono» (ivi, p. 29) – libri, alle volte, altrettanto validi. Il nostro volume parte proprio da questo presupposto, ovvero dall’idea che ripensare la relazione tra immaginario scientifico e quello letterario, nello specifico tra il genere di scrittura etnografica e quello romanzesco, voglia dire includere quante più prospettive possibili, «non ribaltare le passate forme di esclusione» (ivi, p. 30). Se, infatti, si parte dall’assunto che non esiste più una singola categoria di autori, e, di conseguenza, di lettori, come forse è stato nell’età classica dei testi etnografici, la mo- dalità che Clifford definisce come «realistica» può oggi rappresenta- re solo «uno dei possibili paradigmi di autorità» (ivi, p. 71): chi scrive testi etnografici, infatti, può muoversi tra diversi tipi di «autorità» – «sperimentale, interpretativo, dialogico, polifonico» (ivi, p. 72) – e ha sempre potere d’invenzione all’interno di ciascun paradigma.
Introduzione [a Nate da una stessa risata : saggi e racconti sugli intrecci tra antropologia e letteratura]
Giuseppe ScandurraUltimo
2025
Abstract
Presupposto di questo nostro volume è dunque che ci sia un rapporto privilegiato tra l’etnografia, intesa come metodo e scrittura antropologica e altri generi di scrittura più narrativi (Capello 2020), se non, addirittura, una nascita in comune. Oggi, soprattutto alla luce di questo nuovo modo di rileggere i «classici» in antropologia, siamo legittimati a riscoprire scritture che per un lungo tempo, nel corso del Novecento, sono state allontanate dalla disciplina accademica in virtù del loro essere non «clas- siche». Obiettivo generale di questo nostro libro è proprio quello di indagare queste «altre forme di scrittura», partendo dal presupposto che le liste di testi considerati classici pongono problemi non tanto per i libri che includono – che non possono che essere buoni –, quanto, come scrive Rosaldo, «per quelli che escludono» (ivi, p. 29) – libri, alle volte, altrettanto validi. Il nostro volume parte proprio da questo presupposto, ovvero dall’idea che ripensare la relazione tra immaginario scientifico e quello letterario, nello specifico tra il genere di scrittura etnografica e quello romanzesco, voglia dire includere quante più prospettive possibili, «non ribaltare le passate forme di esclusione» (ivi, p. 30). Se, infatti, si parte dall’assunto che non esiste più una singola categoria di autori, e, di conseguenza, di lettori, come forse è stato nell’età classica dei testi etnografici, la mo- dalità che Clifford definisce come «realistica» può oggi rappresenta- re solo «uno dei possibili paradigmi di autorità» (ivi, p. 71): chi scrive testi etnografici, infatti, può muoversi tra diversi tipi di «autorità» – «sperimentale, interpretativo, dialogico, polifonico» (ivi, p. 72) – e ha sempre potere d’invenzione all’interno di ciascun paradigma.| File | Dimensione | Formato | |
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