Negli ultimi 25 anni si sono succeduti in Italia svariati interventi del legislatore finalizzati ad approntare – nell’ambito dei rapporti contrattuali che entrambe le parti abbiano instaurato nell’esercizio di un’attività economica svolta in modo professionale (attività d’impresa o lavoro autonomo non imprenditoriale) – disposizioni di protezione al contraente che si trovi, nei confronti della controparte, in una condizione di inferiorità e debolezza: una condizione di debolezza tale da indurlo ad aderire, in sede di instaurazione del rapporto, a regolamenti negoziali preventivamente ed unilateralmente predisposti dalla controparte e contenenti clausole (attinenti ai profili economici del rapporto e/o ai profili più squisitamente “normativi”) particolarmente vantaggiose per il predisponente e svantaggiose per l’aderente, nonché a subire l’esercizio dei poteri e dei diritti conferiti alla controparte da clausole siffatte, sopportando tutte le conseguenze giuridiche ed economiche pregiudizievoli derivanti dall’applicazione concreta delle stesse. Le disposizioni legislative speciali che nel corso degli anni sono entrate in vigore (disciplina abuso di dipendenza economica, dei ritardi nel pagamento dei corrispettivi pecuniari dovuti in base a “transazioni commerciali”, pratiche commerciali sleali nei confronti di microimprese, c.d. Jobs Act degli autonomi, legge sull’equo compenso, pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare) sono tutt’altro che omogenee, sia quanto all’ambito di applicazione, sia quanto ai presupposti cui viene subordinata l’operatività delle misure di protezione e la possibilità per la parte debole di invocarne l’applicazione. Queste disposizioni – oltre a prevedere specifici rimedi di natura “contrattuale” - accordano sempre alla parte “debole” il diritto di pretendere dal contraente che abbia predisposto ed imposto le clausole sproporzionatamente onerose e svantaggiose il risarcimento dei danni (patrimoniali) cagionati dall’inserimento delle stesse nel regolamento negoziale e dall’applicazione che ne sia stata concretamente fatta dal contraente “forte”. La relativa pretesa risarcitoria, tutte le volte in cui l’abuso si sia sostanziato (anche) nell’imposizione dell’adesione a pattuizioni contenutisticamente sperequate e svantaggiose e nell’esercizio dei poteri e dei diritti conferiti da siffatte pattuizioni, compete al contraente debole in aggiunta alle pretese restitutorie ad esso eventualmente spettanti in ragione della nullità che colpisce le pattuizioni medesime e gli atti negoziali unilaterali (ad es. recesso o modificazione unilaterale delle condizioni contrattuali originariamente concordate) posti in essere in attuazione delle stesse. Quando invece le condotte “abusive” tenute dal contraente forte approfittando della situazione di debolezza della controparte non siano sfociate nella conclusione di un contratto o di un patto (o abbiano avuto come conseguenza quella di impedire la instaurazione o la prosecuzione di un rapporto contrattuale e/o di una relazione commerciale), le pretese risarcitorie espressamente contemplate dalle disposizioni de quibus costituiscono l’unico rimedio privatistico esperibile dalla parte debole per porre rimedio ai pregiudizi provocati dalla altrui condotta illecita. La voce ricostruisce analiticamente le fattispecie contemplate dalle diverse previsioni legislative, individuandone i tratti caratterizzanti comuni e inquadrandole sistematicamente. Il fondamento giustificativo e i criteri di quantificazione della somma spettante a titolo di risarcimento del danno (patrimoniale) al contraente vittima dell’abuso, pertanto, non possono non rimanere rigorosamente ancorati ai criteri generali di cui all’art. 1223 c.c. e alle regole inerenti al riparto e al contenuto dell’onere probatorio che la giurisprudenza adotta in sede di applicazione dei precetti generali in materia di responsabilità civile.
Responsabilità civile e protezione dell'imprenditore e del lavoratore autonomo "debole"
GIOVANNI DE CRISTOFARO
2024
Abstract
Negli ultimi 25 anni si sono succeduti in Italia svariati interventi del legislatore finalizzati ad approntare – nell’ambito dei rapporti contrattuali che entrambe le parti abbiano instaurato nell’esercizio di un’attività economica svolta in modo professionale (attività d’impresa o lavoro autonomo non imprenditoriale) – disposizioni di protezione al contraente che si trovi, nei confronti della controparte, in una condizione di inferiorità e debolezza: una condizione di debolezza tale da indurlo ad aderire, in sede di instaurazione del rapporto, a regolamenti negoziali preventivamente ed unilateralmente predisposti dalla controparte e contenenti clausole (attinenti ai profili economici del rapporto e/o ai profili più squisitamente “normativi”) particolarmente vantaggiose per il predisponente e svantaggiose per l’aderente, nonché a subire l’esercizio dei poteri e dei diritti conferiti alla controparte da clausole siffatte, sopportando tutte le conseguenze giuridiche ed economiche pregiudizievoli derivanti dall’applicazione concreta delle stesse. Le disposizioni legislative speciali che nel corso degli anni sono entrate in vigore (disciplina abuso di dipendenza economica, dei ritardi nel pagamento dei corrispettivi pecuniari dovuti in base a “transazioni commerciali”, pratiche commerciali sleali nei confronti di microimprese, c.d. Jobs Act degli autonomi, legge sull’equo compenso, pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare) sono tutt’altro che omogenee, sia quanto all’ambito di applicazione, sia quanto ai presupposti cui viene subordinata l’operatività delle misure di protezione e la possibilità per la parte debole di invocarne l’applicazione. Queste disposizioni – oltre a prevedere specifici rimedi di natura “contrattuale” - accordano sempre alla parte “debole” il diritto di pretendere dal contraente che abbia predisposto ed imposto le clausole sproporzionatamente onerose e svantaggiose il risarcimento dei danni (patrimoniali) cagionati dall’inserimento delle stesse nel regolamento negoziale e dall’applicazione che ne sia stata concretamente fatta dal contraente “forte”. La relativa pretesa risarcitoria, tutte le volte in cui l’abuso si sia sostanziato (anche) nell’imposizione dell’adesione a pattuizioni contenutisticamente sperequate e svantaggiose e nell’esercizio dei poteri e dei diritti conferiti da siffatte pattuizioni, compete al contraente debole in aggiunta alle pretese restitutorie ad esso eventualmente spettanti in ragione della nullità che colpisce le pattuizioni medesime e gli atti negoziali unilaterali (ad es. recesso o modificazione unilaterale delle condizioni contrattuali originariamente concordate) posti in essere in attuazione delle stesse. Quando invece le condotte “abusive” tenute dal contraente forte approfittando della situazione di debolezza della controparte non siano sfociate nella conclusione di un contratto o di un patto (o abbiano avuto come conseguenza quella di impedire la instaurazione o la prosecuzione di un rapporto contrattuale e/o di una relazione commerciale), le pretese risarcitorie espressamente contemplate dalle disposizioni de quibus costituiscono l’unico rimedio privatistico esperibile dalla parte debole per porre rimedio ai pregiudizi provocati dalla altrui condotta illecita. La voce ricostruisce analiticamente le fattispecie contemplate dalle diverse previsioni legislative, individuandone i tratti caratterizzanti comuni e inquadrandole sistematicamente. Il fondamento giustificativo e i criteri di quantificazione della somma spettante a titolo di risarcimento del danno (patrimoniale) al contraente vittima dell’abuso, pertanto, non possono non rimanere rigorosamente ancorati ai criteri generali di cui all’art. 1223 c.c. e alle regole inerenti al riparto e al contenuto dell’onere probatorio che la giurisprudenza adotta in sede di applicazione dei precetti generali in materia di responsabilità civile.| File | Dimensione | Formato | |
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