Le città post-apocalittiche rappresentano la realizzazione ultima di pulsioni umane intrise di violenza e causate dal distacco fra la dimensione umana e il mondo naturale. Le società reali e fittizie sono in grado di rivelare come gli approcci strutturalmente biofobici nei confronti delle specie non-umane possono essere superati grazie ad un approccio scientifico-ecologico, stimolato dalla riscoperta della connessione organica fra diverse specie e del senso di responsabilità che gli umani avvertono nei confronti del non-umano. La “climate fiction”, o la narrativa ambientale, è un genere letterario che spesso fornisce rappresentazioni di città distopiche, le cui società sono spesso guidate dalla biofobia verso le altre specie, speculando così sulle radici culturali degli approcci predatori e avversivi caratterizzanti gli spazi urbani. The City and the Stars (1956) di Arthur C. Clarke introduce due tipi di comunità fiorenti: mentre la progressista Diaspar ha sposato appieno il determinismo tecnologico, la culturalista Lys ha accettato i limiti biologici della fallibilità umana. Il romanzo esplora come diversi gradi di accettazione dello sviluppo tecnologico e di interazione con specie diverse dall’uomo comportino un ventaglio di approcci biofilici e biofobici. Inoltre, la critica proposta da Clarke anticipa le problematiche ambientali popolarizzate dalle pratiche urbane contemporanee ispirate dalle teorie biofiliche e applicate allo spazio urbano. La missione del network “Biophilic Cities” è quello di trasformare gli spazi e le comunità attraverso un approccio scientifico-ecologistico verso le specie non-umane. Le stesse tematiche interessano il romanzo di narrativa contemporanea Cloud Atlas (2004) di David Mitchell, un’opera che riesce a mostrare come delle comunità biofiliche emergenti possano decostruire e rivalorizzare il rapporto fra esseri umani e il non-umano, grazie alla sinergia fra intelletto ed empatia, catalizzatori di reazioni utopiche e rivoluzionarie. Dal romanzo si evince che la trasformazione fisica del territorio è un processo graduale che può aspirare al successo solo se affiancato da un’evoluzione culturale biofilica. Le espressioni di insorgenza biofilica possono essere considerate come un elemento utopico nelle narrazioni distopiche, nonché la chiave per disseminare conoscenza e coscienza ecologica al di fuori del mondo accademico e per rianimare il legame fra le comunità, lo spazio abitato e la loro natura organica e dinamica.

Post-apocalyptic cities reveal their nature as the result of human drives and violence, caused by detachment from the natural world. Fictional and real societies reveal how biophobic attitudes toward the other-than-human can be overcome through a scientific-ecologistic approach elicited by conscious care and responsibility for other species. In displaying dystopian societies and cities driven by biophobia toward the other-than-human, climate fiction speculates on the cultural roots of long-standing exploitative and aversive approaches in urban spaces. The City and the Stars (1956) by Arthur C. Clarke introduces two alternative visions of flourishing communities characterised by both progressive and culturalist urban features and systems of value. The novel explores how complex human negotiation of technology and lack of interaction with the other-than-human elicits a range of biophobic and biophilic attitudes. Clarke’s critique of anthropocentric approaches to urban space anticipates the environmental concerns tackled by contemporary green practices that apply biophilic theories to urban studies and architecture. Indeed, the mission of the Biophilic Cities Network is the transformation of spaces and communities through a scientific- ecologistic approach to the other-than-human. Emerging biophilic communities are introduced in Cloud Atlas (2004) by David Mitchell, a contemporary climate fiction that demonstrates how the joint effort of reason and emotion can be a catalyst for a subversive utopian endeavour. The novel reveals that managing the material component of the city while simultaneously integrating a cultural shift is a gradual process. Reading expressions of biophilic insurgency as a utopian element in dystopian climate fiction can be key to spreading sustainable awareness beyond academia and enliven human spaces and communities in tune with their organic nature.

Toward a Biophilic Insurgency through Climate Fiction and Urban Planning

CASMIRI, Ilenia Vittoria
2023

Abstract

Le città post-apocalittiche rappresentano la realizzazione ultima di pulsioni umane intrise di violenza e causate dal distacco fra la dimensione umana e il mondo naturale. Le società reali e fittizie sono in grado di rivelare come gli approcci strutturalmente biofobici nei confronti delle specie non-umane possono essere superati grazie ad un approccio scientifico-ecologico, stimolato dalla riscoperta della connessione organica fra diverse specie e del senso di responsabilità che gli umani avvertono nei confronti del non-umano. La “climate fiction”, o la narrativa ambientale, è un genere letterario che spesso fornisce rappresentazioni di città distopiche, le cui società sono spesso guidate dalla biofobia verso le altre specie, speculando così sulle radici culturali degli approcci predatori e avversivi caratterizzanti gli spazi urbani. The City and the Stars (1956) di Arthur C. Clarke introduce due tipi di comunità fiorenti: mentre la progressista Diaspar ha sposato appieno il determinismo tecnologico, la culturalista Lys ha accettato i limiti biologici della fallibilità umana. Il romanzo esplora come diversi gradi di accettazione dello sviluppo tecnologico e di interazione con specie diverse dall’uomo comportino un ventaglio di approcci biofilici e biofobici. Inoltre, la critica proposta da Clarke anticipa le problematiche ambientali popolarizzate dalle pratiche urbane contemporanee ispirate dalle teorie biofiliche e applicate allo spazio urbano. La missione del network “Biophilic Cities” è quello di trasformare gli spazi e le comunità attraverso un approccio scientifico-ecologistico verso le specie non-umane. Le stesse tematiche interessano il romanzo di narrativa contemporanea Cloud Atlas (2004) di David Mitchell, un’opera che riesce a mostrare come delle comunità biofiliche emergenti possano decostruire e rivalorizzare il rapporto fra esseri umani e il non-umano, grazie alla sinergia fra intelletto ed empatia, catalizzatori di reazioni utopiche e rivoluzionarie. Dal romanzo si evince che la trasformazione fisica del territorio è un processo graduale che può aspirare al successo solo se affiancato da un’evoluzione culturale biofilica. Le espressioni di insorgenza biofilica possono essere considerate come un elemento utopico nelle narrazioni distopiche, nonché la chiave per disseminare conoscenza e coscienza ecologica al di fuori del mondo accademico e per rianimare il legame fra le comunità, lo spazio abitato e la loro natura organica e dinamica.
SPINOZZI, Paola
GRIGNOLIO, Stefano
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Tipologia: Tesi di dottorato
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