I contenuti della Sezione Storia di Un Minuto sono la quintessenza della volontà di superare la logica binaria dell’esposizione di architettura intesa come una raccolta di oggetti materiali, di venerazione quasi religiosa, in un ambito culturale ristretto. In passato, infatti, la Biennale di Architettura di Venezia è stata il terreno ideale dei demiurghi dell’architettura e dei loro feticci. Naturalmente non ci sarebbe niente di male nel mettere in scena i modelli in scala, i disegni e le foto degli edifici, oppure il lavoro dei propri maestri, se questi non rappresentassero, soprattutto oggi, un culto esclusivo, ammantato di arcana competenza, incapace di riconoscere la complessità delle crisi ambientali. In questo contesto, la sezione curata da Alessandro Gaiani, Emilia Giorgi, e Guido Incerti, ha il merito, tra gli altri, di esplorare la crisi di un territorio, con strumenti isotropici come l’arte fotografica e cinematografica. Da qui emergono le immagini dei luoghi e delle forze potenziali per la ricostruzione di un territorio, a partire dalle comunità, unità minime di coesione sociale. Le immagini dei tre fotografi descrivono le alterazioni fisiche dell'ambiente e di ogni specie vivente, dagli esseri umani, alle specie animali e vegetali. Il processo attraverso cui un evento sismico altera un ambiente locale riporta l’architettura verso il suo naturale ruolo di strumento di mediazione e di negoziazione dell’umanità con la troposfera. E, benché già oltre l’interpretazione primitiva della competenza disciplinare, ci si chiede se anche questa prospettiva non sia controproducente, dato che l’Antropocene si deve all’incapacità di accogliere, all’interno della comunità, ogni presenza vivente e non vivente come parte di un unico organismo. Dopo il terremoto, infatti, le modifiche dell’habitat, dovute alle componenti tettoniche artificiali, spesso non sono più vantaggiose per i loro abitanti, e, come detriti, possono contribuire al degrado dell’ambiente. Come nel “principio di costruzione di nicchia”, così ogni presenza sul territorio - gli individui, la collettività, le piante e il vento -, sono un agente attivo del cambiamento, che può contribuire alla resilienza delle comunità. Coerentemente il luogo fisico dell’esposizione, immaginato dai tre curatori, si espande e diviene un polimorfico spazio pubblico, nel Padiglione Italia, ed un laboratorio nei territori colpiti dal sisma, animato dal coraggio dell’attivismo, grazie al contributo di ActionAid Italia, e dal rigore della ricerca, grazie alle iniziative del Gran Sasso Science Institute. Con “laboratorio” qui si intende uno spazio inclusivo di creatività come motore del cambiamento, in cui la componenti più marginalizzate delle comunità dimostrano di essere la parte più mobile delle società, quella che, raggiunta la consapevolezza che lo status quo non sia più un’opzione, immagina relazioni adattative inaspettate, e quindi ancora più preziose, tra l’ambiente e le persone.
storia di un minuto, volume 3
alessandro gaiani;guido incerti;
2022
Abstract
I contenuti della Sezione Storia di Un Minuto sono la quintessenza della volontà di superare la logica binaria dell’esposizione di architettura intesa come una raccolta di oggetti materiali, di venerazione quasi religiosa, in un ambito culturale ristretto. In passato, infatti, la Biennale di Architettura di Venezia è stata il terreno ideale dei demiurghi dell’architettura e dei loro feticci. Naturalmente non ci sarebbe niente di male nel mettere in scena i modelli in scala, i disegni e le foto degli edifici, oppure il lavoro dei propri maestri, se questi non rappresentassero, soprattutto oggi, un culto esclusivo, ammantato di arcana competenza, incapace di riconoscere la complessità delle crisi ambientali. In questo contesto, la sezione curata da Alessandro Gaiani, Emilia Giorgi, e Guido Incerti, ha il merito, tra gli altri, di esplorare la crisi di un territorio, con strumenti isotropici come l’arte fotografica e cinematografica. Da qui emergono le immagini dei luoghi e delle forze potenziali per la ricostruzione di un territorio, a partire dalle comunità, unità minime di coesione sociale. Le immagini dei tre fotografi descrivono le alterazioni fisiche dell'ambiente e di ogni specie vivente, dagli esseri umani, alle specie animali e vegetali. Il processo attraverso cui un evento sismico altera un ambiente locale riporta l’architettura verso il suo naturale ruolo di strumento di mediazione e di negoziazione dell’umanità con la troposfera. E, benché già oltre l’interpretazione primitiva della competenza disciplinare, ci si chiede se anche questa prospettiva non sia controproducente, dato che l’Antropocene si deve all’incapacità di accogliere, all’interno della comunità, ogni presenza vivente e non vivente come parte di un unico organismo. Dopo il terremoto, infatti, le modifiche dell’habitat, dovute alle componenti tettoniche artificiali, spesso non sono più vantaggiose per i loro abitanti, e, come detriti, possono contribuire al degrado dell’ambiente. Come nel “principio di costruzione di nicchia”, così ogni presenza sul territorio - gli individui, la collettività, le piante e il vento -, sono un agente attivo del cambiamento, che può contribuire alla resilienza delle comunità. Coerentemente il luogo fisico dell’esposizione, immaginato dai tre curatori, si espande e diviene un polimorfico spazio pubblico, nel Padiglione Italia, ed un laboratorio nei territori colpiti dal sisma, animato dal coraggio dell’attivismo, grazie al contributo di ActionAid Italia, e dal rigore della ricerca, grazie alle iniziative del Gran Sasso Science Institute. Con “laboratorio” qui si intende uno spazio inclusivo di creatività come motore del cambiamento, in cui la componenti più marginalizzate delle comunità dimostrano di essere la parte più mobile delle società, quella che, raggiunta la consapevolezza che lo status quo non sia più un’opzione, immagina relazioni adattative inaspettate, e quindi ancora più preziose, tra l’ambiente e le persone.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.