La relazione è il mezzo imprescindibile per la realizzazione di ogni progetto volto a promuovere salute, benessere e cambiamento. Nell’interazione tra individui e gruppi esistono varie tipologie di relazione orientate al raggiungimento di questi obiettivi primari. In ambito educativo è necessario distinguere tra la relazione d’aiuto e la relazione educativa. Per poterci addentrare nella tematica della psicologia clinica delle relazioni è necessario definire questi due concetti. Nella relazione d’aiuto, secondo la definizione di Carl Rogers (1951), almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro (individuo o gruppo) crescita, sviluppo, maturità, nonché il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato. La relazione educativa, invece, è la relazione che s’instaura tra uno o più educatori e uno o più educandi, all’interno della quale l’educatore riveste un ruolo di guida, accompagnandoli, in maniera consapevole e pedagogicamente orientata, verso il raggiungimento di finalità inerenti al loro progetto di vita, intervenendo a questo proposito sui contesti in cui gli educandi vivono e adeguando il proprio stile operativo e relazionale (Fenzio, 2017). La relazione d’aiuto è strettamente connessa all’individualizzazione dei processi di diagnosi, di analisi, di progettazione e d’intervento. Vengono riconosciuti il valore intrinseco della persona e il suo bisogno di essere guidata nell’evoluzione delle proprie condotte umane, di essere avvolta in una relazione empatica capace di produrre prossimità emotiva, cambiamento e salute (Sedran, 2003). Quest’ultima è direttamente proporzionale alle caratteristiche dei contesti che le persone abitano e alla quantità e qualità delle relazioni umane che le attraversano. L’umanizzazione della relazione d’aiuto, riprendendo la teoria di Rogers, è un processo necessario capace di portare a migliori risultati nel breve e lungo termine, a maggiori livelli di compliance, a un minor livello di conflittualità e a un abbassamento dei livelli di stress e sofferenza. L’obiettivo ultimo della relazione d’aiuto è quello di portare ciascuna persona a divenire consapevole della propria capacità innata a tendere alla salute, raggiungendo livelli ottimali di autoregolazione emotiva. Per poter raggiungere tale obiettivo, la relazione deve trasformarsi in un contatto profondo capace di concretizzare rispetto, ascolto empatico e, infine, autenticità. In questo modo, entrambi gli estremi della relazione d’aiuto, terapeuta e cliente, sono visti come soggetti attivi, capaci di potenziare i propri sistemi di autoregolazione, costruendo così dinamiche orientate alla salute in un’ottica non di cura, ma di facilitazione del proprio potenziale (Rogers, 2000).
Pedagogia e psicologia clinica delle relazioni d'aiuto
Paola Bastianoni
2022
Abstract
La relazione è il mezzo imprescindibile per la realizzazione di ogni progetto volto a promuovere salute, benessere e cambiamento. Nell’interazione tra individui e gruppi esistono varie tipologie di relazione orientate al raggiungimento di questi obiettivi primari. In ambito educativo è necessario distinguere tra la relazione d’aiuto e la relazione educativa. Per poterci addentrare nella tematica della psicologia clinica delle relazioni è necessario definire questi due concetti. Nella relazione d’aiuto, secondo la definizione di Carl Rogers (1951), almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro (individuo o gruppo) crescita, sviluppo, maturità, nonché il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato. La relazione educativa, invece, è la relazione che s’instaura tra uno o più educatori e uno o più educandi, all’interno della quale l’educatore riveste un ruolo di guida, accompagnandoli, in maniera consapevole e pedagogicamente orientata, verso il raggiungimento di finalità inerenti al loro progetto di vita, intervenendo a questo proposito sui contesti in cui gli educandi vivono e adeguando il proprio stile operativo e relazionale (Fenzio, 2017). La relazione d’aiuto è strettamente connessa all’individualizzazione dei processi di diagnosi, di analisi, di progettazione e d’intervento. Vengono riconosciuti il valore intrinseco della persona e il suo bisogno di essere guidata nell’evoluzione delle proprie condotte umane, di essere avvolta in una relazione empatica capace di produrre prossimità emotiva, cambiamento e salute (Sedran, 2003). Quest’ultima è direttamente proporzionale alle caratteristiche dei contesti che le persone abitano e alla quantità e qualità delle relazioni umane che le attraversano. L’umanizzazione della relazione d’aiuto, riprendendo la teoria di Rogers, è un processo necessario capace di portare a migliori risultati nel breve e lungo termine, a maggiori livelli di compliance, a un minor livello di conflittualità e a un abbassamento dei livelli di stress e sofferenza. L’obiettivo ultimo della relazione d’aiuto è quello di portare ciascuna persona a divenire consapevole della propria capacità innata a tendere alla salute, raggiungendo livelli ottimali di autoregolazione emotiva. Per poter raggiungere tale obiettivo, la relazione deve trasformarsi in un contatto profondo capace di concretizzare rispetto, ascolto empatico e, infine, autenticità. In questo modo, entrambi gli estremi della relazione d’aiuto, terapeuta e cliente, sono visti come soggetti attivi, capaci di potenziare i propri sistemi di autoregolazione, costruendo così dinamiche orientate alla salute in un’ottica non di cura, ma di facilitazione del proprio potenziale (Rogers, 2000).I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.