La recente edizione del Libro delle Figurazioni Ideali, una raccolta di Gian Pietro Lucini interamente dedicata al sonetto, compiuta da Manuela Manfredini (2005), ha riportato all’attenzione della critica un’istanza del poeta lombardo spesso dimenticata, e cioè il debito verso la tradizione metrica. Tale evidenza è recuperabile non solo nelle opere giovanili (come almeno il Libro delle Imagini Terrene, altra raccolta di sonetti), ma lungo tutto l’arco della carriera letteraria di Lucini, pur conosciuto come il più lucido sperimentatore del versoliberismo. In altre raccolte luciniane affiorano infatti forme chiuse, e più in particolare i sonetti, per un non irrilevante totale di oltre venti unità, disseminate lungo un percorso ancora non chiarito dalla critica, e fatto in apparenza di ritorni e di echi compositivi. Gli studi degli anni Settanta del secolo scorso, per opera di Glauco Viazzi, e le edizioni delle opere luciniane curate dallo stesso Viazzi, da Isabella Ghidetti e da Edoardo Sanguineti, figlie di una stagione felice e ormai distanti nel tempo, non hanno però ridato visibilità al complesso della produzione dell’autore lombardo, e si sono servite solo parzialmente dell’archivio del poeta, oggi tornato disponibile agli studiosi. La riproposizione dei sonetti pubblicati ne La solita canzone del Melibeo (sulla rivista «Resine», 2014), riproposti da chi scrive con l’accompagnamento di un apparato di varianti, ha consentito di valutare criticamente alcuni testi non contenuti nelle raccolte principali dedicate da Lucini alle forme chiuse. In particolare, la procedura compositiva fa emergere evidente il debito con la tradizione letteraria italiana, a partire da un insospettato petrarchismo per finire con un ancora meno probabile dannunzianismo, neppure troppo celato. In questa occasione si propone l’edizione genetica di un altro testo luciniano, il Prometeo, primo testo del primo libro delle Antitesi, che è una corona di sei sonetti. È qui possibile valutare il lavoro correttorio di Lucini anche su una distanza più lunga del semplice sonetto, poiché la struttura narrativa del testo si amplia fino a 84 versi. Inoltre si darà conto di una fase compositiva ulteriore, poiché le Antitesi costituiscono la seconda sezione del “ciclo del Melibeo” e furono pubblicate postume, da Viazzi (1970): si apre dunque anche una fase di verifica delle edizioni non curate direttamente dall’autore. L’edizione è accompagnata da un commento linguistico e stilistico, che consente di valutare lo scarto delle forme luciniane rispetto alle scelte degli autori di fine ’800 e primo ’900; ma in conclusione si propone un bilancio anche stilistico sulla forma chiusa di Lucini, al netto dell’evidenza delle fonti.
Affioramenti di forme chiuse in Lucini: i sonetti. II. Prometeo
FABIO ROMANINI
2014
Abstract
La recente edizione del Libro delle Figurazioni Ideali, una raccolta di Gian Pietro Lucini interamente dedicata al sonetto, compiuta da Manuela Manfredini (2005), ha riportato all’attenzione della critica un’istanza del poeta lombardo spesso dimenticata, e cioè il debito verso la tradizione metrica. Tale evidenza è recuperabile non solo nelle opere giovanili (come almeno il Libro delle Imagini Terrene, altra raccolta di sonetti), ma lungo tutto l’arco della carriera letteraria di Lucini, pur conosciuto come il più lucido sperimentatore del versoliberismo. In altre raccolte luciniane affiorano infatti forme chiuse, e più in particolare i sonetti, per un non irrilevante totale di oltre venti unità, disseminate lungo un percorso ancora non chiarito dalla critica, e fatto in apparenza di ritorni e di echi compositivi. Gli studi degli anni Settanta del secolo scorso, per opera di Glauco Viazzi, e le edizioni delle opere luciniane curate dallo stesso Viazzi, da Isabella Ghidetti e da Edoardo Sanguineti, figlie di una stagione felice e ormai distanti nel tempo, non hanno però ridato visibilità al complesso della produzione dell’autore lombardo, e si sono servite solo parzialmente dell’archivio del poeta, oggi tornato disponibile agli studiosi. La riproposizione dei sonetti pubblicati ne La solita canzone del Melibeo (sulla rivista «Resine», 2014), riproposti da chi scrive con l’accompagnamento di un apparato di varianti, ha consentito di valutare criticamente alcuni testi non contenuti nelle raccolte principali dedicate da Lucini alle forme chiuse. In particolare, la procedura compositiva fa emergere evidente il debito con la tradizione letteraria italiana, a partire da un insospettato petrarchismo per finire con un ancora meno probabile dannunzianismo, neppure troppo celato. In questa occasione si propone l’edizione genetica di un altro testo luciniano, il Prometeo, primo testo del primo libro delle Antitesi, che è una corona di sei sonetti. È qui possibile valutare il lavoro correttorio di Lucini anche su una distanza più lunga del semplice sonetto, poiché la struttura narrativa del testo si amplia fino a 84 versi. Inoltre si darà conto di una fase compositiva ulteriore, poiché le Antitesi costituiscono la seconda sezione del “ciclo del Melibeo” e furono pubblicate postume, da Viazzi (1970): si apre dunque anche una fase di verifica delle edizioni non curate direttamente dall’autore. L’edizione è accompagnata da un commento linguistico e stilistico, che consente di valutare lo scarto delle forme luciniane rispetto alle scelte degli autori di fine ’800 e primo ’900; ma in conclusione si propone un bilancio anche stilistico sulla forma chiusa di Lucini, al netto dell’evidenza delle fonti.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.