I mutamenti socioculturali in atto pongono al centro del dibattito il tema dell’alterità e in particolar modo quello della sua rappresentazione, ren-dendo fondamentale il ruolo dei mezzi di comunicazione. Ma soprattutto oggi che i migranti non assumono più la veste del viandante, ma dello stra-niero che, per usare le parole di Simmel, «oggi viene e domani rimane», la costruzione di un futuro di convivenza non può non passare che attraverso una conoscenza reciproca profonda e non occasionale (Cesareo, a cura di, 2004). Recenti casi di cronaca nera, che hanno visto dei migranti come prota-gonisti negativi, hanno scatenato reazioni scomposte anche nel decisore politico, che talvolta ha ceduto alla tentazione di emettere provvedimenti legislativi più sotto la pressione dell’opinione pubblica e dei resoconti giornalistici che come esito di riflessioni e valutazioni ponderate. Questi eventi spingono a pensare alla genesi delle politiche relative alla migrazio-ne nel nostro paese più come frutto di reazione e adattamento, che esito di processi attivi. Se poi spostiamo l’attenzione sulla rappresentazione che i media forni-scono del migrante e, in special modo, di quello di religione islamica, ci troviamo di fronte a costruzioni fondate spesso sulla misconoscenza o sul pregiudizio. È in questo quadro che il dibattito sui musulmani è dominato da figure che forniscono valutazioni perentorie, giudizi inappellabili, sem-pre semplificatori e liquidatori e che, per quanto poco rappresentative, hanno maggiore ascolto rispetto a quelle più competenti e riflessive (Bran-ca 2003). I riflettori mediatici si dimostrano particolarmente sensibili ai casi di conflitto che vedono opporsi comunità locali e migranti musulmani intor-no alla nascita di centri culturali islamici, impropriamente presentati all’opinione pubblica come «moschee». La moschea, luogo di visibilizza-zione dell’Islam nel territorio, è il segno esteriore di una presenza non più temporanea, ma in cerca di riconoscimento. Attorno ai primi segnali del costituirsi di una moschea, le forze politiche, la società civile e i media si mobilitano su fronti opposti, schierandosi su posizioni di tolleranza o di rifiuto, di inclusione o di esclusione, sulla base di pregiudizi che non per-mettono una reale comprensione della presenza musulmana nel territorio e una conseguente politica di integrazione. Accade così che la cartina geografica dell’Italia si trasformi in un teatro conflittuale in cui Lodi, Bologna, Gallarate, Colle Val d’Elsa diventano campi di battaglia – alcuni tra i molti – dove a essere in gioco non è solo la possibilità di costruire una moschea o un centro islamico, ma lo stesso di-ritto degli immigrati musulmani a riconoscersi e farsi riconoscere come comunità presente e attiva nel paese. Le cronache nazionali hanno reso popolari nomi di vie e città in cui tale scontro è avvenuto con particolare violenza: così le milanesi «viale Jenner» e «via Quaranta» hanno superato la dimensione toponomastica per elevarsi (o abbassarsi) a simboli di una presenza musulmana particolarmente pericolosa, mentre Lodi è diventato il terreno di sperimentazione del «maiale-Day» proposto dal leghista Calde-roli; il piccolo comune di Oggiono vicino a Lecco ha guadagnato l’attenzione dei telegiornali nazionali per via della contestata concessione della sala consiliare a un gruppo di musulmani per il ramadan, mentre Ab-biategrasso si è distinta per gli attentati a colpi di bottiglie molotov della scorsa estate. Molti altri casi, altrettanto significativi, rimangono confinati nell’ambito territoriale. Tra questi, figura la vicenda della cosiddetta moschea di Ma-genta, episodio «ordinario» che non ha guadagnato l’attenzione delle cro-nache nazionali. Nella piccola cittadina lombarda, in seguito all’apertura di un centro culturale islamico nell’autunno del 2006, si scatena un conflitto tra la comunità pakistana e l’amministrazione comunale e, attraverso la rappresentazione fornita dai media locali, lo scontro viene progressiva-mente deformato, favorendo la sovraesposizione di alcuni soggetti, cioè coloro che esaltano il carattere ideologico dello scontro e contribuiscono a moltiplicare nella rappresentazione collettiva i pakistani di Magenta in una moltitudine agguerrita e pericolosa. Una conoscenza empirica e non ideologica delle comunità musulmane e dei loro tentativi di stabilizzazione nel territorio appare quanto mai neces-saria in Lombardia, che ospita circa 800mila stranieri provenienti da paesi a forte pressione migratoria (circa un quarto di quelli presenti in tutta Ita-lia), nonché il maggior numero di centri culturali islamici del paese.
Il musulmano immaginato. Il caso della moschea di Magenta e la sua rappresentazione mediatica
PEDRONI M.
;
2009
Abstract
I mutamenti socioculturali in atto pongono al centro del dibattito il tema dell’alterità e in particolar modo quello della sua rappresentazione, ren-dendo fondamentale il ruolo dei mezzi di comunicazione. Ma soprattutto oggi che i migranti non assumono più la veste del viandante, ma dello stra-niero che, per usare le parole di Simmel, «oggi viene e domani rimane», la costruzione di un futuro di convivenza non può non passare che attraverso una conoscenza reciproca profonda e non occasionale (Cesareo, a cura di, 2004). Recenti casi di cronaca nera, che hanno visto dei migranti come prota-gonisti negativi, hanno scatenato reazioni scomposte anche nel decisore politico, che talvolta ha ceduto alla tentazione di emettere provvedimenti legislativi più sotto la pressione dell’opinione pubblica e dei resoconti giornalistici che come esito di riflessioni e valutazioni ponderate. Questi eventi spingono a pensare alla genesi delle politiche relative alla migrazio-ne nel nostro paese più come frutto di reazione e adattamento, che esito di processi attivi. Se poi spostiamo l’attenzione sulla rappresentazione che i media forni-scono del migrante e, in special modo, di quello di religione islamica, ci troviamo di fronte a costruzioni fondate spesso sulla misconoscenza o sul pregiudizio. È in questo quadro che il dibattito sui musulmani è dominato da figure che forniscono valutazioni perentorie, giudizi inappellabili, sem-pre semplificatori e liquidatori e che, per quanto poco rappresentative, hanno maggiore ascolto rispetto a quelle più competenti e riflessive (Bran-ca 2003). I riflettori mediatici si dimostrano particolarmente sensibili ai casi di conflitto che vedono opporsi comunità locali e migranti musulmani intor-no alla nascita di centri culturali islamici, impropriamente presentati all’opinione pubblica come «moschee». La moschea, luogo di visibilizza-zione dell’Islam nel territorio, è il segno esteriore di una presenza non più temporanea, ma in cerca di riconoscimento. Attorno ai primi segnali del costituirsi di una moschea, le forze politiche, la società civile e i media si mobilitano su fronti opposti, schierandosi su posizioni di tolleranza o di rifiuto, di inclusione o di esclusione, sulla base di pregiudizi che non per-mettono una reale comprensione della presenza musulmana nel territorio e una conseguente politica di integrazione. Accade così che la cartina geografica dell’Italia si trasformi in un teatro conflittuale in cui Lodi, Bologna, Gallarate, Colle Val d’Elsa diventano campi di battaglia – alcuni tra i molti – dove a essere in gioco non è solo la possibilità di costruire una moschea o un centro islamico, ma lo stesso di-ritto degli immigrati musulmani a riconoscersi e farsi riconoscere come comunità presente e attiva nel paese. Le cronache nazionali hanno reso popolari nomi di vie e città in cui tale scontro è avvenuto con particolare violenza: così le milanesi «viale Jenner» e «via Quaranta» hanno superato la dimensione toponomastica per elevarsi (o abbassarsi) a simboli di una presenza musulmana particolarmente pericolosa, mentre Lodi è diventato il terreno di sperimentazione del «maiale-Day» proposto dal leghista Calde-roli; il piccolo comune di Oggiono vicino a Lecco ha guadagnato l’attenzione dei telegiornali nazionali per via della contestata concessione della sala consiliare a un gruppo di musulmani per il ramadan, mentre Ab-biategrasso si è distinta per gli attentati a colpi di bottiglie molotov della scorsa estate. Molti altri casi, altrettanto significativi, rimangono confinati nell’ambito territoriale. Tra questi, figura la vicenda della cosiddetta moschea di Ma-genta, episodio «ordinario» che non ha guadagnato l’attenzione delle cro-nache nazionali. Nella piccola cittadina lombarda, in seguito all’apertura di un centro culturale islamico nell’autunno del 2006, si scatena un conflitto tra la comunità pakistana e l’amministrazione comunale e, attraverso la rappresentazione fornita dai media locali, lo scontro viene progressiva-mente deformato, favorendo la sovraesposizione di alcuni soggetti, cioè coloro che esaltano il carattere ideologico dello scontro e contribuiscono a moltiplicare nella rappresentazione collettiva i pakistani di Magenta in una moltitudine agguerrita e pericolosa. Una conoscenza empirica e non ideologica delle comunità musulmane e dei loro tentativi di stabilizzazione nel territorio appare quanto mai neces-saria in Lombardia, che ospita circa 800mila stranieri provenienti da paesi a forte pressione migratoria (circa un quarto di quelli presenti in tutta Ita-lia), nonché il maggior numero di centri culturali islamici del paese.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.