Nel 1814 Arthur Schopenhauer pubblica la sua dissertazione, Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, presentata in absentia presso l’Università di Jena il 2 ottobre dell’anno precedente. Si tratta di un agile lavoro di 148 pagine, che apparentemente tratta di uno specifico argomento, il principio di ragione sufficiente riguardato nelle sue quattro forme di manifestazione, ma che in realtà racchiude i lineamenti della sua intera gnoseologia e quindi, in forza della rigorosa posizione idealistica del filosofo, dell’intera realtà empirica. Nella Quadruplice radice ritroviamo infatti tre elementi fondativi del suo nascente sistema di filosofia trascendentale, ossia: 1) una nuova e sistematica riorganizzazione e ridefinizione delle nostre facoltà conoscitive – sensibilità, intelletto e ragione – e appetitive, il volere; 2) la classificazione esaustiva delle tipologie di rappresentazioni definita in relazione alle facoltà che le amministrano – che per Schopenhauer rappresentano letteralmente «classi di oggetti per il soggetto»; 3) l’illustrazione delle forme di connessione che, entro ciascuna classe, legano in maniera esclusiva e necessaria le rappresentazioni tra loro, presentate come quattro diversi aspetti di un unico principio trascendentale, il principio di ragione sufficiente, che, a seconda della classe di oggetti che connette e della facoltà grazie a cui tale tipo di rappresentazioni si manifesta, acquista la specifica forma di principium rationis sufficientis essendi, fiendi, cognoscendi o agendi determinando a priori quale rappresentazione segua necessariamente ad una rappresentazione data. Si tratta, con ogni evidenza, di un lavoro guidato da uno spirito lucidamente analitico e fortemente sistematico che permette di definire la Quadruplice radice una «filosofia elementare» – per riprendere la terminologia con cui Reinhold aveva definito il proprio tentativo di sistematizzazione della filosofia kantiana – ossia una esposizione formale degli elementi che stanno a fondamento di un sistema filosofico. In effetti quando cinque anni dopo la dissertazione pubblicherà il suo sistema, Il mondo come volontà e rappresentazione, richiamerà fin dalle sue prime pagine la Quadruplice radice come suo necessario presupposto e quando molti anni dopo Schopenhauer rileggerà gli appunti stesi tra il 1812 e il 1814, li commenterà, tra l’inorgoglito e il sorpreso, con le parole: «È notevole che già nel 1814 (il mio ventisettesimo anno d’età) si precisino tutti i dogmi del mio sistema, anche quelli subordinati». Ora, se quanto su esposto è nella sua essenza noto, quello su cui vorrei mettere l’accento nel prosieguo di questo contributo è il fatto che questa soluzione non sarebbe stata possibile senza un lungo lavoro di approfondimento critico della filosofia kantiana, messo in moto dal progressivo rifiuto della filosofia di Fichte nel corso frequentazione delle sue lezioni a Berlino. Un confronto con Kant svolto con l’intenzione di proseguire e portare a compimento il criticismo, a partire dalla consapevolezza che il progetto di filosofia critica inaugurato da Kant si sarebbe arenato a causa di una serie di fallacie, le quali avrebbero inoltre aperto la strada alle erronee sistematizzazioni idealistiche della filosofia trascendentale. La capostipite delle fallacie kantiane è da Schopenhauer presto individuata nell’avere Kant ascritto alla ragione umana, accanto a una funzione in ambito teoretico, anche un’imprescindibile funzione in ambito pratico. Quello che intendo mostrare è quindi innanzitutto come quella che definisco la filosofia elementare di Schopenhauer, che nella sua esposizione viene fatta ruotare intorno a una più accurata analisi del principio di ragion sufficiente, in realtà trova origine in una riformulazione critica della dottrina delle facoltà kantiane, prima fra tutte della ragione; poi che solo a partire da questo ridimensionamento delle funzioni della ragione, abbia potuto progressivamente prendere corpo anche l’ipotesi di un parallelismo tra facoltà e classi di rappresentazioni, nonché della necessità di una specifica forma della loro connessione, secondo quanto sopra esposto; e infine che tale fondamentale ridefinizione delle facoltà kantiane si sia imposta proprio per arrestare a priori un esito del criticismo in direzione fichtiana, che si radicherebbe nell’esasperazione capziosa dell’errore kantiano. Sosterrò questa ipotesi genetica della posizione di Schopenhauer appoggiandomi sui materiali manoscritti che hanno registrato il maturare della sua speculazione durante gli anni di studio berlinesi mesi immediatamente precedenti alla dissertazione.

La genesi della filosofia elementare di Schopenhauer dalla critica della dottrina delle facoltà di Kant

Matteo Vincenzo d'Alfonso
2019

Abstract

Nel 1814 Arthur Schopenhauer pubblica la sua dissertazione, Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, presentata in absentia presso l’Università di Jena il 2 ottobre dell’anno precedente. Si tratta di un agile lavoro di 148 pagine, che apparentemente tratta di uno specifico argomento, il principio di ragione sufficiente riguardato nelle sue quattro forme di manifestazione, ma che in realtà racchiude i lineamenti della sua intera gnoseologia e quindi, in forza della rigorosa posizione idealistica del filosofo, dell’intera realtà empirica. Nella Quadruplice radice ritroviamo infatti tre elementi fondativi del suo nascente sistema di filosofia trascendentale, ossia: 1) una nuova e sistematica riorganizzazione e ridefinizione delle nostre facoltà conoscitive – sensibilità, intelletto e ragione – e appetitive, il volere; 2) la classificazione esaustiva delle tipologie di rappresentazioni definita in relazione alle facoltà che le amministrano – che per Schopenhauer rappresentano letteralmente «classi di oggetti per il soggetto»; 3) l’illustrazione delle forme di connessione che, entro ciascuna classe, legano in maniera esclusiva e necessaria le rappresentazioni tra loro, presentate come quattro diversi aspetti di un unico principio trascendentale, il principio di ragione sufficiente, che, a seconda della classe di oggetti che connette e della facoltà grazie a cui tale tipo di rappresentazioni si manifesta, acquista la specifica forma di principium rationis sufficientis essendi, fiendi, cognoscendi o agendi determinando a priori quale rappresentazione segua necessariamente ad una rappresentazione data. Si tratta, con ogni evidenza, di un lavoro guidato da uno spirito lucidamente analitico e fortemente sistematico che permette di definire la Quadruplice radice una «filosofia elementare» – per riprendere la terminologia con cui Reinhold aveva definito il proprio tentativo di sistematizzazione della filosofia kantiana – ossia una esposizione formale degli elementi che stanno a fondamento di un sistema filosofico. In effetti quando cinque anni dopo la dissertazione pubblicherà il suo sistema, Il mondo come volontà e rappresentazione, richiamerà fin dalle sue prime pagine la Quadruplice radice come suo necessario presupposto e quando molti anni dopo Schopenhauer rileggerà gli appunti stesi tra il 1812 e il 1814, li commenterà, tra l’inorgoglito e il sorpreso, con le parole: «È notevole che già nel 1814 (il mio ventisettesimo anno d’età) si precisino tutti i dogmi del mio sistema, anche quelli subordinati». Ora, se quanto su esposto è nella sua essenza noto, quello su cui vorrei mettere l’accento nel prosieguo di questo contributo è il fatto che questa soluzione non sarebbe stata possibile senza un lungo lavoro di approfondimento critico della filosofia kantiana, messo in moto dal progressivo rifiuto della filosofia di Fichte nel corso frequentazione delle sue lezioni a Berlino. Un confronto con Kant svolto con l’intenzione di proseguire e portare a compimento il criticismo, a partire dalla consapevolezza che il progetto di filosofia critica inaugurato da Kant si sarebbe arenato a causa di una serie di fallacie, le quali avrebbero inoltre aperto la strada alle erronee sistematizzazioni idealistiche della filosofia trascendentale. La capostipite delle fallacie kantiane è da Schopenhauer presto individuata nell’avere Kant ascritto alla ragione umana, accanto a una funzione in ambito teoretico, anche un’imprescindibile funzione in ambito pratico. Quello che intendo mostrare è quindi innanzitutto come quella che definisco la filosofia elementare di Schopenhauer, che nella sua esposizione viene fatta ruotare intorno a una più accurata analisi del principio di ragion sufficiente, in realtà trova origine in una riformulazione critica della dottrina delle facoltà kantiane, prima fra tutte della ragione; poi che solo a partire da questo ridimensionamento delle funzioni della ragione, abbia potuto progressivamente prendere corpo anche l’ipotesi di un parallelismo tra facoltà e classi di rappresentazioni, nonché della necessità di una specifica forma della loro connessione, secondo quanto sopra esposto; e infine che tale fondamentale ridefinizione delle facoltà kantiane si sia imposta proprio per arrestare a priori un esito del criticismo in direzione fichtiana, che si radicherebbe nell’esasperazione capziosa dell’errore kantiano. Sosterrò questa ipotesi genetica della posizione di Schopenhauer appoggiandomi sui materiali manoscritti che hanno registrato il maturare della sua speculazione durante gli anni di studio berlinesi mesi immediatamente precedenti alla dissertazione.
2019
9788855290326
Schopenhauer, Kant, ragion sufficiente, intelletto, ragione
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