La Modernità, Intesa tanto come categoria storiografica quanto come evento sociale-storico accertabile, comporta un’apertura disinteressata verso l’alterità, nel tentativo estremo di congedarsi dalle idee ricevute. Là dove sia in grado di rifuggire il rischio di facili derive retoriche, essa contiene pertanto l’implicita aspirazione ad una forma ideale di libertà assoluta che, se temporaneamente intesa, consente di corrispondere all'aspirazione di mettersi totalmente in gioco, ritrovando così la via per nuove avventure dello spirito. All'interno di tale processo, la scoperta del Nuovo Mondo viene de facto interpretata come “ipostasi dell’altrove”, ovvero sostanza che presiede permanentemente al manifestarsi di qualsiasi fenomeno; non luogo ante litteram il cui irresistibile magnetismo è legittimato dalla convinzione che ivi tutto sia possibile. In tal modo, tuttavia, ciò che doveva essere semplicemente inteso come stato di migrazione transitoria, ovvero medium/mezzo di emancipazione dai mali delle società di provenienza, ne diventa la paradossale privazione. Tale aporia viene confermata dalla cultura post-moderna, e dal capitalismo finanziario, che ne costituisce l’estrema declinazione, che quell’altrove interpretano non più sub specie di seconda natura, a cui abbandonarsi, ma come crogiolo senza fondo di forme/eidos in cui precipitano tutte le culture, a conclusione del proprio ciclo storico; deriva di una insaziabile “legge del desiderio”. La crisi di questo modello, a partire dal 2007, impone una riflessione sulla “decrescita felice”, da intendersi come espressione del limite quale fondamento del vivere civile. In tale prospettiva il progetto si viene a identificare come un processo decisionale attraverso il quale, per prove ed errori, si aspira a ritrovare un comune terreno d’intesa, su cui fondare responsabilmente la comunità a venire.
The Right to architecture seen as "diligent research". Form of dissent, reclaiming space practices and the power of the project
nicola marzot
2019
Abstract
La Modernità, Intesa tanto come categoria storiografica quanto come evento sociale-storico accertabile, comporta un’apertura disinteressata verso l’alterità, nel tentativo estremo di congedarsi dalle idee ricevute. Là dove sia in grado di rifuggire il rischio di facili derive retoriche, essa contiene pertanto l’implicita aspirazione ad una forma ideale di libertà assoluta che, se temporaneamente intesa, consente di corrispondere all'aspirazione di mettersi totalmente in gioco, ritrovando così la via per nuove avventure dello spirito. All'interno di tale processo, la scoperta del Nuovo Mondo viene de facto interpretata come “ipostasi dell’altrove”, ovvero sostanza che presiede permanentemente al manifestarsi di qualsiasi fenomeno; non luogo ante litteram il cui irresistibile magnetismo è legittimato dalla convinzione che ivi tutto sia possibile. In tal modo, tuttavia, ciò che doveva essere semplicemente inteso come stato di migrazione transitoria, ovvero medium/mezzo di emancipazione dai mali delle società di provenienza, ne diventa la paradossale privazione. Tale aporia viene confermata dalla cultura post-moderna, e dal capitalismo finanziario, che ne costituisce l’estrema declinazione, che quell’altrove interpretano non più sub specie di seconda natura, a cui abbandonarsi, ma come crogiolo senza fondo di forme/eidos in cui precipitano tutte le culture, a conclusione del proprio ciclo storico; deriva di una insaziabile “legge del desiderio”. La crisi di questo modello, a partire dal 2007, impone una riflessione sulla “decrescita felice”, da intendersi come espressione del limite quale fondamento del vivere civile. In tale prospettiva il progetto si viene a identificare come un processo decisionale attraverso il quale, per prove ed errori, si aspira a ritrovare un comune terreno d’intesa, su cui fondare responsabilmente la comunità a venire.File | Dimensione | Formato | |
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