Il modo in cui pensiamo il futuro ha un passato. Tuttavia è ormai consolidata l’idea che il futuro che sta emergendo sarà diverso da tutto ciò che abbiamo conosciuto in passato. Le teorie dei “commons collaborativi” di Jeremy Rifkin, le interpretazioni urbane di Zygmunt Bauman sostenute dalla metafora della “liquidità”, le teorie della “decrescita” di Serge Latouche, ci consegnano l’ipotesi di un mondo che viene profondamente diverso. Una differenza di genere e non di grado, al quale corrisponderà un cambiamento nei modi di vita, di abitare, di costruire. Nel settore delle costruzioni, la storica incapacità del mondo dell’edilizia di reggere il passo con le rapide trasformazioni in atto nella società, non solo non ha permesso di innovare nel progetto e costruzione degli spazi di vita, ma ha originato un patrimonio obsoleto che rende difficoltose e onerose le trasformazioni. E’ uno dei settori più arretrati e come tale in grado di esprimere le maggiori potenzialità di trasformazione. L’importanza di capire da dove veniamo per decidere dove andare è fondamentale: il patrimonio edilizio è lo specchio della nostra storia, sulla quale fondare le modificazioni necessarie per la città che viene. I cambiamenti non potranno pertanto essere radicali pena il rifiuto, ma ripartire dal passato e dalle necessità per ripensare il futuro possibile. Vittorio Gregotti la chiama “il possibile necessario”, intesa come sostanza strutturale di ogni progetto di architettura. Nel dibattito in atto sulla città la necessità della rigenerazione edilizia non è più motivo di discussione, ma ancora si stenta a intraprendere questa strada in modo deciso. Il complicato sistema legislativo, giuridico e burocratico che l’Italia ha pericolosamente raggiunto rende difficoltoso operare anche le minime opere d’innovazione, ingessando di fatto ogni nuova iniziativa che intende modificare lo stato delle cose. La crisi economica in atto ne è una conseguenza e non la causa.
Per una città possibile
RINALDI, Andrea;
2014
Abstract
Il modo in cui pensiamo il futuro ha un passato. Tuttavia è ormai consolidata l’idea che il futuro che sta emergendo sarà diverso da tutto ciò che abbiamo conosciuto in passato. Le teorie dei “commons collaborativi” di Jeremy Rifkin, le interpretazioni urbane di Zygmunt Bauman sostenute dalla metafora della “liquidità”, le teorie della “decrescita” di Serge Latouche, ci consegnano l’ipotesi di un mondo che viene profondamente diverso. Una differenza di genere e non di grado, al quale corrisponderà un cambiamento nei modi di vita, di abitare, di costruire. Nel settore delle costruzioni, la storica incapacità del mondo dell’edilizia di reggere il passo con le rapide trasformazioni in atto nella società, non solo non ha permesso di innovare nel progetto e costruzione degli spazi di vita, ma ha originato un patrimonio obsoleto che rende difficoltose e onerose le trasformazioni. E’ uno dei settori più arretrati e come tale in grado di esprimere le maggiori potenzialità di trasformazione. L’importanza di capire da dove veniamo per decidere dove andare è fondamentale: il patrimonio edilizio è lo specchio della nostra storia, sulla quale fondare le modificazioni necessarie per la città che viene. I cambiamenti non potranno pertanto essere radicali pena il rifiuto, ma ripartire dal passato e dalle necessità per ripensare il futuro possibile. Vittorio Gregotti la chiama “il possibile necessario”, intesa come sostanza strutturale di ogni progetto di architettura. Nel dibattito in atto sulla città la necessità della rigenerazione edilizia non è più motivo di discussione, ma ancora si stenta a intraprendere questa strada in modo deciso. Il complicato sistema legislativo, giuridico e burocratico che l’Italia ha pericolosamente raggiunto rende difficoltoso operare anche le minime opere d’innovazione, ingessando di fatto ogni nuova iniziativa che intende modificare lo stato delle cose. La crisi economica in atto ne è una conseguenza e non la causa.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.