Sempre più frequenti nel panorama internazionale dell’arte contemporanea sono le opere di artisti e artiste che usano materiali d’archivio, sia come ‘canovaccio’ da reinterpretare, sia come una nuova azione da mettere in scena. Variamente e criticamente collocabile all’interno dell’Archival Impulse (Foster 2004) o dell’Archive fever (Derrida 1995; Enwezor 2008) , l’arte archiviale non usa documenti come supporto estetico ma come strumento per ripensare il significato di identità, storia, memoria e perdita, cercando di rendere fisicamente presente un’informazione storica spesso perduta o dislocata, attraverso una rielaborazione di immagini, oggetti o testi ritrovati. Spesso intercettando il campo degli studi post-coloniali, gli/le artisti/e in questione usano archivi fisici ricatalogati, biografie immaginarie di persone fittizie, collezioni di fotografie anonime, versioni filmiche di album fotografici, o fotomontaggi di fotografie storiche (Foster 2004). I documenti – è in particolare il caso delle foto di archivio – vengono usati sia come ‘canovaccio’ da reinterpretare, sia come nuove azioni da mettere in scena, dando luogo a ciò che può essere definita una performance culturale, nella accezione antropologica di Turner (1986): ovvero una azione critica e riflessiva rispetto a quello che già esiste, aprendo nuovi sguardi su quelli consolidati, insieme a nuovi interrogativi e nuovi punti di vista.
Archivi e arte contemporanea. Performance, repertori e produzione di nuovi archivi
TRASFORINI, Maria Antonietta
2015
Abstract
Sempre più frequenti nel panorama internazionale dell’arte contemporanea sono le opere di artisti e artiste che usano materiali d’archivio, sia come ‘canovaccio’ da reinterpretare, sia come una nuova azione da mettere in scena. Variamente e criticamente collocabile all’interno dell’Archival Impulse (Foster 2004) o dell’Archive fever (Derrida 1995; Enwezor 2008) , l’arte archiviale non usa documenti come supporto estetico ma come strumento per ripensare il significato di identità, storia, memoria e perdita, cercando di rendere fisicamente presente un’informazione storica spesso perduta o dislocata, attraverso una rielaborazione di immagini, oggetti o testi ritrovati. Spesso intercettando il campo degli studi post-coloniali, gli/le artisti/e in questione usano archivi fisici ricatalogati, biografie immaginarie di persone fittizie, collezioni di fotografie anonime, versioni filmiche di album fotografici, o fotomontaggi di fotografie storiche (Foster 2004). I documenti – è in particolare il caso delle foto di archivio – vengono usati sia come ‘canovaccio’ da reinterpretare, sia come nuove azioni da mettere in scena, dando luogo a ciò che può essere definita una performance culturale, nella accezione antropologica di Turner (1986): ovvero una azione critica e riflessiva rispetto a quello che già esiste, aprendo nuovi sguardi su quelli consolidati, insieme a nuovi interrogativi e nuovi punti di vista.File | Dimensione | Formato | |
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