Questo studio affronta il complesso tema del rapporto tra fonti interne e fonti comunitarie sotto il peculiare profilo dello strumento giuridico- interpretativo che veicola il principio del primato e ne assicura l’effettività all’interno degli ordinamenti giuridici nazionali. L’effetto diretto, frutto della lunga elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia, svolge, infatti, un ruolo fondamentale sia ai fini dell’integrazione tra i differenti sistemi giuridici sia in relazione alla tutela giurisdizionale dei diritti dei singoli, così come riconosciuti dall’ordinamento comunita-rio. Si tratta quindi di uno strumento che non è stato codificato o previsto dal Trattato, bensì è annoverabile tra le diverse tecniche ermeneutiche di cui il giurista normalmente si avvale nell’interpretazione delle norme. Per tali ragioni – come la dottrina ha sovente sottolineato - l’effetto diretto propriamente detto si distingue dalla diretta applicabilità: quest’ultima, infatti, è chiaramente prescritta dal Trattato per determinate categorie di atti normativi ed esprime la capacità propria di alcune specifiche fonti di penetrare nell’ordinamento interno senza la necessità di un atto normativo nazionale di interposizione. Diversamente, l’effetto diretto afferisce ad una particolare qualità delle norme. Ciononostante, la Corte di giustizia, in linea di principio, utilizza i due termini linguistici scambievolmente: la distinzione concettuale si inferi-sce però dal significato e dalla portata che la decisione ha sulla fattispecie a quo. Infatti, una norma può essere direttamente applicabile senza per ciò solo essere idonea all’applicazione in giudizio . La giustiziabilità di una disposizione non è una caratteristica genetica dell’atto ma dipende esclusivamente dalla peculiarità e della qualità del suo contenuto. La pos-sibilità di un singolo di agire in giudizio a tutela di una posizione soggettiva di vantaggio è conseguenza diretta del contenuto immediatamente precettivo della norma attributiva, ovvero dell’entità del “vantaggio” stabilito dalla fattispecie astratta, in relazione alla specifica fattispecie concreta. Risulta per ciò chiaro che la possibilità di riconoscere ad una norma la diretta efficacia dipende essenzialmente dall’attività interpretativa svolta dall’operatore del diritto. In questa prospettiva, il giudice interno svolge un ruolo centrale: assumendo il precetto come interpretato “in astratto” dalla giurisprudenza comunitaria, dovrà poi verificarne l’applicabilità “in concreto” per poter così enucleare la regola giuridica che governa il singolo caso. Vi è quindi una strettissima connessione relazionale e funzionale tra effetto diretto e tutela giurisdizionale: nella misura in cui sia possibile qualificare una norma come self-executing, i beneficiari di situazioni di vantaggio potranno variamente valersene in giudizio. In altre parole, il contenuto di una norma direttamente efficace non è il suo effetto diretto: tale contenuto potrà “colorarsi” di signifi-cati differenti – siano essi diritti soggettivi, interessi legittimi o semplici pretese – che certamente incideranno immediatamente sulle fattispecie a quo ma con effetti tra loro differenti. Nella prima parte del lavoro ci si occupa propriamente di questo: si tenta di dar conto delle molteplici accezioni e funzioni che dottrina e giurisprudenza hanno attribuito a tale strumento, con particolare riguardo all’efficacia diretta delle norme del Trattato e delle direttive comunitarie. La scelta di concentrarsi su tali atti è strettamente connessa con l’essenza dello strumento indagato: poiché – come si è detto – la manifestazione dell’effetto diretto prescinde dalla tipologia della fonte, l’osservazione del fenomeno acquista maggiore interesse laddove sussistono i più rilevanti problemi interpretativi. Successivamente, si affronta il tema dell’applicabilità in senso orizzontale delle norme self-executing, con particolare attenzione al divieto posto dalla giurisprudenza comunitaria al riconoscimento alle direttive comunitarie di effetti inter privatos. In tale cornice, l’interpretazione conforme nonché il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia rappresentano accessori irrinunciabili al bagaglio di strumenti ermeneutici già nella disponibilità delle giurisdizioni nazionali. Infine, si osserva in che modo la definizione del contenuto delle norme direttamente efficaci elaborata dai giudici interni sia idonea ad incidere sul godimento dei diritti dei singoli. Non sempre la giurisprudenza comunitaria ed interna sono riuscite ad armonizzare a pieno il rapporto tra le rispettive fonti e laddove tale relazione risulta essere più lacunosa, la possibilità di garantire un’efficace tutela dei diritti individuali sembra essere più labile.

Teoria degli effetti diretti e applicazione del diritto. L’efficacia delle norme self-executing nell’interpretazione della Corte di giustizia e del giudice interno

LORENZON, Sara
2008

Abstract

Questo studio affronta il complesso tema del rapporto tra fonti interne e fonti comunitarie sotto il peculiare profilo dello strumento giuridico- interpretativo che veicola il principio del primato e ne assicura l’effettività all’interno degli ordinamenti giuridici nazionali. L’effetto diretto, frutto della lunga elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia, svolge, infatti, un ruolo fondamentale sia ai fini dell’integrazione tra i differenti sistemi giuridici sia in relazione alla tutela giurisdizionale dei diritti dei singoli, così come riconosciuti dall’ordinamento comunita-rio. Si tratta quindi di uno strumento che non è stato codificato o previsto dal Trattato, bensì è annoverabile tra le diverse tecniche ermeneutiche di cui il giurista normalmente si avvale nell’interpretazione delle norme. Per tali ragioni – come la dottrina ha sovente sottolineato - l’effetto diretto propriamente detto si distingue dalla diretta applicabilità: quest’ultima, infatti, è chiaramente prescritta dal Trattato per determinate categorie di atti normativi ed esprime la capacità propria di alcune specifiche fonti di penetrare nell’ordinamento interno senza la necessità di un atto normativo nazionale di interposizione. Diversamente, l’effetto diretto afferisce ad una particolare qualità delle norme. Ciononostante, la Corte di giustizia, in linea di principio, utilizza i due termini linguistici scambievolmente: la distinzione concettuale si inferi-sce però dal significato e dalla portata che la decisione ha sulla fattispecie a quo. Infatti, una norma può essere direttamente applicabile senza per ciò solo essere idonea all’applicazione in giudizio . La giustiziabilità di una disposizione non è una caratteristica genetica dell’atto ma dipende esclusivamente dalla peculiarità e della qualità del suo contenuto. La pos-sibilità di un singolo di agire in giudizio a tutela di una posizione soggettiva di vantaggio è conseguenza diretta del contenuto immediatamente precettivo della norma attributiva, ovvero dell’entità del “vantaggio” stabilito dalla fattispecie astratta, in relazione alla specifica fattispecie concreta. Risulta per ciò chiaro che la possibilità di riconoscere ad una norma la diretta efficacia dipende essenzialmente dall’attività interpretativa svolta dall’operatore del diritto. In questa prospettiva, il giudice interno svolge un ruolo centrale: assumendo il precetto come interpretato “in astratto” dalla giurisprudenza comunitaria, dovrà poi verificarne l’applicabilità “in concreto” per poter così enucleare la regola giuridica che governa il singolo caso. Vi è quindi una strettissima connessione relazionale e funzionale tra effetto diretto e tutela giurisdizionale: nella misura in cui sia possibile qualificare una norma come self-executing, i beneficiari di situazioni di vantaggio potranno variamente valersene in giudizio. In altre parole, il contenuto di una norma direttamente efficace non è il suo effetto diretto: tale contenuto potrà “colorarsi” di signifi-cati differenti – siano essi diritti soggettivi, interessi legittimi o semplici pretese – che certamente incideranno immediatamente sulle fattispecie a quo ma con effetti tra loro differenti. Nella prima parte del lavoro ci si occupa propriamente di questo: si tenta di dar conto delle molteplici accezioni e funzioni che dottrina e giurisprudenza hanno attribuito a tale strumento, con particolare riguardo all’efficacia diretta delle norme del Trattato e delle direttive comunitarie. La scelta di concentrarsi su tali atti è strettamente connessa con l’essenza dello strumento indagato: poiché – come si è detto – la manifestazione dell’effetto diretto prescinde dalla tipologia della fonte, l’osservazione del fenomeno acquista maggiore interesse laddove sussistono i più rilevanti problemi interpretativi. Successivamente, si affronta il tema dell’applicabilità in senso orizzontale delle norme self-executing, con particolare attenzione al divieto posto dalla giurisprudenza comunitaria al riconoscimento alle direttive comunitarie di effetti inter privatos. In tale cornice, l’interpretazione conforme nonché il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia rappresentano accessori irrinunciabili al bagaglio di strumenti ermeneutici già nella disponibilità delle giurisdizioni nazionali. Infine, si osserva in che modo la definizione del contenuto delle norme direttamente efficaci elaborata dai giudici interni sia idonea ad incidere sul godimento dei diritti dei singoli. Non sempre la giurisprudenza comunitaria ed interna sono riuscite ad armonizzare a pieno il rapporto tra le rispettive fonti e laddove tale relazione risulta essere più lacunosa, la possibilità di garantire un’efficace tutela dei diritti individuali sembra essere più labile.
2008
Effetti diretti; norme self-executing; diritto dell'Unione europea; teoria generale del diritto; Corte europea di Giustizia
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